Noi che quando giocavamo per strada ed un nostro amico riusciva a parere un tiro coi piedi definivamo il gesto “alla Garella“. Non è da poco aver creato un modo di dire, in pochi possono vantarsi di averlo fatto, anche rispolverando gloriose carriere. Il mito di Claudio Garella si è sbiadito col tempo, ma resta incancellabile dalle pagine della storia calcistica della nostra era, non soltanto per uno stile unico ed inimitabile dovuto ad una discutibile tecnica di parare in qualsiasi modo l’istinto gli suggerisce, coscia, piede, ginocchio, anche con la faccia se questo fosse servito ad evitare un gol, e questo rese Garella una sicurezza tra i pali, nonostante qualche periodo buio che ogni portiere attraversa nella propria carriera (quello fu il periodo in cui venne coniato un altro soprannome, questa volta poco edificante, Paparella). Ha avuto la fortuna, ma anche la bravura, di essere protagonista di due degli scudetti più difficili che si potessero vincere, quello del Verona nell’85, dove prese parte alla mitica squadra agli ordini di Mister Bagnoli che raggiunse il tricolore mettendosi alle spalle le grandi del nostro campionato, e quello di Napoli, il primo, nell’87, quando con Maradona, che lo volle a difendere i pali azzurri dopo averlo visto all’opera, trascinò la compagine partenopea ad uno storico successo.
Famosa la frase dell’Avvocato Agnelli: «Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però», conservata nella memoria di Claudio come un’altra perla di una carriera ricca nonostante qualcuno non avrebbe scommesso un centesimo, forse perché Garellik, come lo definirono in quel di Verona quando sciorinò il campionario di parate fuori dal comune, non aveva il cosi detto “fisique du role“, la forma che si conviene per un’atleta atta a conferirgli quell’abilità, quella elasticità che un portiere necessita per potersi imporre a certi livelli, eppure i pochi muscoli e qualche chilo di troppo non frenarono le doti e le ottime capacità tecniche che forse nel calcio moderno non sarebbero bastate. Ma parliamo dei favolosi anni ’80, dove anche un non perfetto atleta poteva diventare un eroe, protagonista di un’epoca ancora calcisticamente romantica, non ancora satura di business e gestione aziendale. Questo il succo di ciò che è stato Garella, direttamente dalle sue parole: «Sono stato un portiere anomalo, nessun allenatore ha cercato di cambiarmi. Istinto? Non solo, avevo un mio codice. Ricordo ciò che disse Italo Allodi, il manager che mi portò al Napoli: “L’importante è parare, non conta come”».
Proprio nel suo periodo napoletano, gli piace riportare in auge gli allenamenti col pibe de oro, quando riusciva a “prendere qualcosa” e Diego se la rideva, sornione e fiero di aver puntato su di un estremo difensore concreto, che bada al sodo mandando a quel paese tecniche di intervento e stile encomiabile alla Zoff. Proprio del buon Dino è forse stato l’opposto sotto l’aspetto delal disciplina tecnico-tattica, eppure il ruolo impone determinati allenamenti di base fondamentali uguali in ogni “scuola di pensiero” ma nonostante ciò per Claudio parare significava evitare di subire un gol, non certo dimostrare agli altri di sapere fare un colpo di reni se magari non ce ne fosse stato l’estremo bisogno. Attualmente è un osservatore della squadra della Canavese, di cui ne va fiero, nonostante stiamo parlando di categorie ai limiti del dilettantismo, ma lui, si sa, è un generoso, uno che non è mai sceso a compromessi pur di restare nel calcio che conta, ha mantenuto una integrità morale che lo ha allontanato dal “jet set” del calcio contemporaneo, scelta che lo ha ovviamente penalizzato professionalmente.
Ma resta una carriera di alto profilo, restano i ricordi delle sfide coi grandi campioni, le memorie delle parate impossibili, in rovesciata in un Verona-Cremonese, con il sedere in un Udinese-Verona, e molte altre con modi e tecniche poco ortodosse ma efficaci, lodevoli e concrete ai fini delle reali necessità, non consentire di buttarla dentro. Di seguito una video-biografia in cui è possibile “ammirare” alcune delle parate assurde che ha compiuto.