Perdonateci lettori, chiediamo scusa ai giovani progressisti e torcinaso che sbraitano quando si tratta di girarsi dietro e guardare un passato vecchio di ventisette anni, ci chiameranno “tardoni passionali” tutti coloro che, forse a ragion veduta, stigmatizzano i ritorni ad un’era troppo lontana e deleteria per poter essere tirata in ballo, buona solo a commuoverci, costringendoci a vivere di sospiri. Ma se siete così rigidi e pragmatici nella vostra analisi sui bei tempi andati probabilmente non siete abitué della rubrica “Qui fu Napoli” che è spesso tentata di mettere in moto la macchina del tempo per trascinare i tifosi, nostalgici e non, a rivivere i pezzi della storia del Napoli non soltanto sotto l’aspetto puramente tecnico e sportivo. Stasera siamo stati tentati nel riportare in auge una storica serata che tutti ricorderanno, non si tratta di una partita che ha regalato vittorie insperate o trofei ambiti, ma si tratta di una notte di gran galà che fece seguito alla prima affermazione degli azzurri nel campionato italiano, un primo scudetto che per molti è valso molto di più.
Meglio non divagare e tornare al nostro protagonista, una persona che manca terribilmente alla Napoli civica e culturale, parliamo di Massimo Troisi, che proprio quella sera fu protagonista di un’intervista che è stata consegnata di diritto agli annali come una delle più belle e significative testimonianze di passione, humor e professionalità che un grande uomo come lo era Troisi è stato in grado di conseguire, quasi spontaneamente, senza costruire nulla e lasciando al caso pensieri e parole, dettate dalla felicità della vittoria azzurra, dalla spensieratezza che era di casa sempre e comunque nell’animo di Massimo, e dallo spirito indomito di rendere satirico e spiritoso anche il giorno dedicato ai festeggiamenti per una vittoria.
Durante l’intervista Massimo punzecchia continuamente Minà, inducendolo a confessargli la verità e a smascherare la sua bugia del tricolore azzurro, con intermezzi d’autore, stile comico d’alta scuola, senza scadere nel retorico, tenendo alta la bandiera della propria napoletanità, facendo uso di un dialetto comprensibile ma marchiato a fuoco nel profondo, a testimoniare un’appartenenza mai messa in discussione. Il voler essere “uno dei calciatori” azzurri per sapere segreti e aneddoti della squadra, “sacrificare” il pudore e scendere a compromessi col destino per vestire i panni della moglie di uno dei calciatori (Renica, ad esempio!) pur di esserci, concludere puntualizzando che, forse, viste le circostanze, sarebbe stato molto meglio essere l’amante di una delle mogli dei calciatori azzurri, e allora via con risate a crepapelle e applausi per una performance da tifoso, ma dapprima da grande comico.
Ecco l’intervista che ha fatto storia, almeno per i tifosi ultratrentenni:
Articolo modificato 20 Mag 2014 - 13:35