Appese le scarpe al chiodo ha intrapreso la carriera di allenatore, toccando il livello più alto assumendo l’incarico di allenatore della prima squadra del Napoli durante la stagione 1996-97, quando subentrò a Gigi Simoni, esonerato da Ferlaino per aver accettato di firmare con l’Inter a campionato in corso, la stessa stagione in cui il Napoli rischiò il tracollo in campionato e lo spettro della B era imminente, oltretutto la squadra si smarrì definitivamente nella finale di Coppa Italia persa contro il Vicenza, anche se Montefusco preferisce ricordarla così: “E’ una sintesi sbagliata! In quell’anno il Napoli, allenato da Simoni, era partito molto bene. Poi Gigi chiuse un accordo per allenare l’Inter nel campionato successivo; le cose in campionato incominciarono ad andare molto male per il Napoli, al punto tale che la retrocessione sembrava un fatto certo. Io lavoravo con le giovanili e fui chiamato dal DG Bianchi ad assumere la responsabilità della prima squadra. Una responsabilità tremenda: bisognava salvare il Napoli dalla B e non volevo assolutamente che la mia squadra retrocedesse e che il mio nome fosse associato a tale evento “tragico“.
Per senso di responsabilità e senza avere alcun riconoscimento economico extra per il nuovo incarico, accettai. Riuscii nel miracolo e nessuno oggi ricorda questa grande impresa. Tutti ricordano però la sconfitta in Coppa Italia”.
Ci salvammo con una giornata di anticipo; nella successiva settimana andammo a giocare la partita di ritorno a Vicenza, quella di andata l’avevamo vinta per 1-0. Fu una partita stranissima: dopo pochi minuti, il nostro attaccante Caccia si fece espellere in maniera futile costringendoci a giocare in 10 per quasi tutta la partita. I giocatori mi parvero deconcentrati, probabilmente per l’avvenuta conquista della salvezza; non riuscii a modificare il loro atteggiamento e perdemmo l’incontro ai supplementari per 3-0. Coppa Italia sfumata, ma per me l’importante era rimanere in Serie A e ci eravamo riusciti!”.
Le pagine della biografia di Montefusco soffrono il peso delle scelte che in carriera ha dovuto giocoforza prendere, privilegiando la maglia della propria città, anche mettendo in gioco il prestigio ed il blasone di un cammino calcistico che avrebbe dovuto essere più adeguato alle doti tecniche di un calciatore che ad inizio carriera sembrava destinato a miglior sorte. Non resta che il commiato della platea partenopea, che gli riconoscerà quel senso di attaccamento che altri non avrebbero privilegiato, mettendo davanti a tutto l’importanza di una carriera di spessore. Oggi lo si vede spesso nelle vesti di commentatore e opinionista durante le trasmissioni dei canali privati napoletani, un modo come un altro di restare attaccato alla causa azzurra.
Articolo modificato 29 Mag 2014 - 13:58