La città di Torre Annunziata tutta, scrive una lettera per l’attaccante della Nazionale Ciro Immobile, in partenza oggi per il Mondiale brasiliano.
“Caro Ciro,
consentici, nell’imminenza della tua partenza per il Brasile, di augurarti le migliori fortune e di ringraziarti per il prestigioso lustro, finalmente consono, che con la tua persona hai dato alla nostra città. Onora noi tutti e l’orgoglio che dichiari, anzi proclami, per Torre Annunziata. E non solo adesso che sei un campione acclamato, ma anche quando ti accingevi a diventarlo ed intorno c’era meno accondiscendenza, quando non un’aperta diffidenza. Chissà quante parole “taglienti” avrai dovuto registrare. Di certo, conoscendoti, ti hanno reso più forte, come calciatore e come uomo. E forse qualcosa è rimasto di quel pregiudiziale scetticismo, se, come appare certo, ti trasferirai – da capocannoniere del campionato, già top scorer di serie B e, per ben due volte in finale, nonché di tutte le edizioni, del torneo di Viareggio – a Dortmund, a giocare nello stadio-talismano del calcio tedesco, l’ex Westfalenstadion, violato per la prima volta dalla nazionale di Fabio Cannavaro.
Ed anche questa tua avventura reca i tratti dell’assoluta singolarità. Un figlio della nostra terra che va sì in Germania, e non da emigrante, ma da top player, obiettivo di mercato scelto e perseguito con teutonica determinazione, è proprio il caso di dire. Del resto la tua stessa figura da muscoloso efebo biondo e dagli occhi cerulei, che avrebbe convinto anche Wagner a riservarti un posto nella sua saga pangermanica, sembra celebrare quella quota di sangue svevo-normanno che una storia millenaria di mescolanze e stirpi ha depositato nei nostri geni. Perché tu, Ciro, non sei semplicemente un artista del calcio, un fenomeno naturale. Quelli possono nascere dappertutto. E’ il caso che li destina. No, tu sei un campione che si è costruito, formato, e con l’impegno che costa fatica, l’umiltà del sacrificio, la tenace volontà che trova sollievo nella certezza di seguire il proprio destino di sereno approdo. Tutti valori che certo non ci vengono riconosciuti come distintivi, ma che accomunano molti torresi. Sicuramente non tutti, ma in buon numero, ed in misura massima, non fosse altro che per compensare quelli ai quali, purtroppo, mancano quasi del tutto. Che pure non sono pochi.
No, Ciro, tu non sei stato il predestinato messia del calcio, baciato dalla fortuna, il cui unico impegno è quello di non fare scialo del proprio talento. No, hai incarnato ed incarni tutti quei valori che hanno fatto grande la nostra terra. E se c’è stato qualche deragliamento negli ultimi decenni, chissà che non possa contribuire anche tu, proprio tu, col tuo merito, con la tua storia esemplare a riconsegnarla ad un circuito di assoluta, ritrovata, laboriosa civiltà. Non c’è spazio che per un sentimento di orgoglio misto a commozione nel sentirti dichiarare che la tua squadra del cuore è il Savoia e il tuo sogno quello di indossarne la maglia, pur sapendo che non sarà certo per una finale di Champions League. Perché come dice un poeta: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia” non certo dal particolare di poter “sbagliare un calcio di rigore”, come pure ti è capitato quest’anno.
Non è soltanto una città che ti accompagna, Ciro, in questo viaggio in Brasile, da “centravantidellanazionale”, una successione di parole da pronunciare tutta d’un fiato, tanto fa spavento e inorgoglisce. Non sono solo gli appassionati di calcio, ma un’intera categoria umana. Quella degli uomini semplici e tenaci. Quelli che non credono che il luogo di nascita, la condizione per quanto difficili siano un limite ma uno stimolo in più. Quelli che dalle avversità traggono forza; anzi nemmeno le individuano come ostacoli, ma quali occasioni imperdibili. No, non quelli che semplicemente credono ai sogni, ma quelli che credono che i sogni abbiano la misura delle proprie capacità e la forma della propria volontà, cioè, che, in sintesi, i sogni siano l’impegno di una vita. E’ questa la tua lezione, Ciro, il senso del tuo esempio.
Il ragazzo di via Castello (sì, proprio quello dei D’Alagno) divenuto il “centravanti della nazionale” italiana, la squadra tetracampeão, come dicono là, in Brasile, dove il calcio solo gli storici ufficiali si ostinano a dire non sia nato, ma dove già era l’allegria di un popolo che solo aspettava di manifestarsi come un’arte. In quella festa avremo occhi speciali per l’azzurro delle maglie e per una in particolare, quella di un giovane che conosciamo, dagli occhi cerulei e i capelli biondi. “Solo chi ha scosso una rete di calcio sa veramente cosa sia la felicità”, ha scritto qualcuno. Ecco, Ciro, aspettiamo, tutti, la tua felicità, che sarà anche la nostra. Ma, intanto “Boa Sorte!”, come dicono là, in Brasile, dove il calcio è gioia vivente, capace di farci sentire tutti uguali, eterni fanciulli nel miracolo ricorrente di un gioco senza tempo. La città di Torre Annunziata. La tua”.
Articolo modificato 5 Giu 2014 - 11:16