Due destini che si uniscono, citando una canzone dei Tiromancino. Ecco come ci viene spontaneo descrivere l’unione d’intenti che Fabio Pecchia ed il Napoli hanno coordinato negli anni. Da ragazzo, quando cresceva nella sua terra, Formia, meta indiscussa dei vacanzieri campani limitrofi, si era subito messo in luce per la sua enorme propensione calcistica, il papà lo iscrisse di corsa alla scuola calcio del Lenola, a pochi chilometri da casa, dove crebbe e maturò fino ad entrar nelle grazie del talent scout Gino Corrado, che lo presenta alla dirigenza dell’Avellino. In Irpinia si consacra come uno dei migliori giovani del panorama calcistico della serie C, in due anni diviene l’icona della grinta e dello spirito di sacrificio in campo, divenendo idolo dei tifosi biancoverdi ed indiscusso uomo mercato, su cui piomba subito il Napoli che lo porta all’ombra del Vesuvio nell’annata in cui in panchina si sedette il futuro campione del mondo Macello Lippi.
Complice un inizio stagione poco entusiasmante da parte dei titolarissimi e dei “senatori” Lippi pesca in panchina i jolly giusti per dare la svolta alla stagione, fu così che ai più titolati Nela, Pari e Policano, si fecero avanti i vari Corini, Fabio Cannavaro, Taglialatela e, appunto, Pecchia, che subito si fece consegnare le chiavi del centrocampo azzurro, assicurando freschezza atletica, dinamismo, duttilità tattica, abbinata ad una velocità palla al piede come pochi, condita da una capacità di verticalizzare invidiabile, tutti attributi che chiudevano il cerchio contribuendo ad ottenere il curriculum di un centrocampista come pochi in Italia all’epoca. In un periodo di declino sintomatico della squadra, il Napoli chiuse la stagione al 6° posto centrando la qualificazione alla Coppa Uefa, non male per essere la prima annata in maglia azzurra, giocata quasi interamente da titolare. Le annate successive consegnarono alla storia un giocatore sempre più completo, capace di migliorarsi anche sotto l’aspetto fisico, unico neo che lo aveva accompagnato, riuscendo addirittura a conseguire la fascia di capitano della squadra azzurra.
Quattro anni da protagonista, 125 presenze e 15 gol che lo misero sempre più in mostra al cospetto delle grandi squadre italiane, principio rafforzato dalla presenza in nazionale under 21 guidata all’epoca da Cesare Maldini, con la quale conquisterà il campionato Europeo del 1996 e parteciperà con la stessa ai Giochi Olimpici di Atlanta. Dalle soddisfazioni con la nazionale minore, Fabio tocca il culmine accettando l’offerta dei bianconeri della Juve, dove Marcello Lippi lo richiese espressamente per comporre la linea di centrocampisti dei suoi sogni. Affare positivo anche per le casse del Napoli, all’epoca spesso a secco e bisognose di introiti, che con l’affare Pecchia si intasco dieci miliardi delle vecchie lire, nonostante ciò tanti furono rammaricati per la decisione di perdere un pezzo pregiato, forse uno degli ultimi, di una squadra tesa ad essere smantellata e costruita soltanto di presiti e comproprietà, causa il pericolo fallimento dietro l’angolo, avvenimento che da lì a qualche anno avverrà puntualmente. Vince il tricolore tanto ambito con i piemontesi, ma non brilla e viene subito messo in discussione, tant’è che viene girato in compartecipazione alla Sampdoria, altra annata non particolarmente edificante, e poi ai granata del Torino, dove si smarrisce e perde le tracce del centrocampista polmoni e corsa che si era conosciuto qualche anno prima.
Accetta la nuova sfida con il Napoli, che lo riprende volentieri anche perché sempre più indebitato e affamato di personaggi in cerca di riscatto con budget low cost, ma il “miracolo” non si concretizza, anzi va pure peggio, Napoli in serie B nonostante Fabio mette a segno sei gol in 27 gare, il peso degli errori schiaccia le ambizioni di Fabio e di qualche altro volenteroso di un’armata Brancaleone precipitata nel baratro, societario ma anche sotto l’aspetto calcistico. Ripartirà da Bologna dove disputa una buona annata, viene girato al neopromosso Como per una stagione (retrocessione in B per i lariani) per fare nuovamente ritorno dai rossoblù, parentesi a Siena, ritorno in Emilia e definitiva cessione all’Ascoli, dove dopo una buona stagione cambia ancora maglia, questa volta indosserà quella rossonera del Foggia, dove ritorna ad essere eroe e trascinatore, spingendo così il Frosinone a fare lo sforzo di acquistarlo per il proprio centrocampo. Un nuovo ritorno al Foggia conclude definitivamente la carriera di girovago e sognatore di Pecchia, l’avvocato per tutti, grazie alla laurea in Giurisprudenza che riuscì a conseguire quando ancora era a Napoli, ora la carriera di allenatore gli apre le porte e lo annuncia come uno dei più interessanti prodotti del nostro calcio.
Foggia ancora, come tecnico, poi Gubbio e Latina hanno contribuito a riconoscere le capacità umane e tecniche di mister Pecchia, spingendolo verso un clamoroso ritorno a Napoli, questa volta da braccio destro, da spalla su cui piangere e ridere, da consigliere personale e factotum, più tecnicamente da allenatore in seconda di una squadra azzurra proiettata verso l’alto. Grande elemento quando era calciatore di un Napoli in difficoltà, uomo di spessore, persona intelligente e preparata attualmente, esperienza da vendere e capacità di distribuire autocontrollo e equilibrio, Pecchia oggi è sicuramente uno dei punti di forza del gruppo, uno di quegli elementi in grado di portare avanti un lavoro silenzioso ma prolifico, persona umile e rispettosa dei ruoli e dell’ambiente che lo circonda, insomma Fabio è uno di quei personaggi di cui il Napoli aveva bisogno sia ieri quando era indiscusso protagonista del centrocampo partenopeo, e sul quale oggi bisogna costruire i margini per migliorare la squadra, anche attraverso i suoi consigli i suggerimenti. Un “avvocato” un po’ particolare Fabio, meno amante dei tribunali e delle aule, più avvezzo allo spogliatoio, alla fatica sul campo, al feeling con il manto erboso di cui sembra non poterne fare a meno.
Di seguito alcuni gol di Pecchia in maglia azzurra: