Un risveglio felice per chi ieri ha fatto le ore piccole pur di vedere la Nazionale italiana fronteggiare i pericolosi inglesi.
Dalle dieci in poi, per le strade di tutto il Paese non c’era anima viva, coprifuoco da mondiale e questo fa capire che, in fondo, è una tradizione impregnata nelle nostre più profonde radici quella di assistere alla partita.
Buona la prima si potrebbe dire, sfumate le preoccupazioni di una possibile bomba all’interno del Manaus, stadio in cui si è disputato il match, l’adrenalina è salita insieme alla temperatura torbida brasiliana. Trombette, cappellini, sciarpe e maglie hanno invaso locali, case, piazze.
E certo, con il mondiale ci sentiamo (quasi) tutti italiani ma c’è chi ama questa terra ogni giorno, non solo in queste occasioni.
Da qualcosa, comunque, bisogna pur ripartire e forse il calcio è il miglior mezzo per farlo. Risvegliamo gli animi di chi ha abbandonato le speranze. Come cantava Francesco De Gregori: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia“. Tre aggettivi che bisogna imparare a coltivare nella vita, proprio come Nino, il protagonista della canzone.
Italiani, borbonici e compagnia cantante, potremmo chiamarci anche con tutti i nomi possibili, siamo comunque figli di questa terra, rigogliosa, forte, ricca di storia ma anche bersagliata dall’odio e spenta dalle flebili speranze di rinascita.
No, tifare Italia non è obbligatorio, c’è la libertà di opinione, di scelta ma quando un napoletano veste quella maglia, non si può essere indifferenti, esultare ad un suo possibile goal.
L’Italia è Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, la signora di Napoli e quella di Milano, il povero uomo di Roma e quello ricco di Palermo. Siamo tutti azzurri, nel bene o nel male.
L’Italia è come una sorella: la amiamo, la odiamo, la difendiamo e la incitiamo. Sempre.
Articolo modificato 15 Giu 2014 - 17:19