E’ finita il 24 giugno alle ore 19.50 circa l’avventura dell’Italia al Mondiale dove, per la seconda edizione di seguito, la truppa azzurra non è riuscita a superare lo scoglio di un girone ostico ma alquanto abbordabile. Un flop dovuto a tanti fattori: in primis ad una squadra formata in gran parte da giovani talentuosi ma inesperti per un grande palcoscenico quale quello della Coppa del Mondo, pedine poco amalgamate tra loro e troppo “prime donne”, figli di una condizione fisica non al top. Poi, una rosa carente in alcuni reparti che ha visto brillare di luce propria solo qualche stella, venendo meno in uomini che avrebbero dovuto fare la differenza. Insomma, non ha funzionato quasi nulla e ciò ha portato alle dimissioni di Abete e Prandelli nel post gare contro l’Uruguay.
Se il mea culpa però deve essere generale e collettivo, non può sfuggire, ai nostri attenti occhi, l’analisi di un protagonista in particolare, il partenopeo Lorenzo Insigne. Essere catapultati a Rio de Janeiro a 23 anni appena compiuti non è certo facile, ancor più quando i primi veri big match dal sapore europeo li hai disputati solo pochi mesi prima ed a sprazzi, contro squadre della caratura di Borussia Dortmund, Arsenal, Porto e varie. Ben diverse sono le Nazionali, quando al proprio cospetto si ritrovano vere leggende del calcio quali Rooney e Gerrard, goleador motivati quali Cavani o Suarez o persino la sorpresa del girone, la Costarica. Essere buttati poi nella mischia all’improvviso, senza continuità e nel momento più difficile della partita e del cammino dell’Italia è quasi un’impresa titanica. Qualcosa di buono Lorenzo l’ha fatto, ancor più considerando tutti gli elementi della lunga premessa. Era il suo primo Mondiale, la sua prima avventura con i nuovi compagni, in una realtà davvero grande. Eppure ci ha messo voglia, umiltà ed impegno, quello che basta per imparare ogni giorno sempre di più e tornare sotto l’ombra del Vesuvio ricchi e maturi.
Le critiche le ha ricevute come tutti, forse anche ingiuste: ha cercato di fare la differenza anche se spesso molto solo, isolati dagli stessi compagni di reparto. Ma quando è tutta la squadra a non girare, è impossibile che lo faccia un solo uomo. Non doveva essere il Mondiale di Insigne, ma forse lo è stato meno del previsto: mezz’ora è stata davvero troppo poca per bocciarlo, abbastanza per dargli ancora fiducia. Di questa a Napoli ne ha tantissima. perché in fondo, il suo vero azzurro è proprio quello della squadra della sua città e di quella maglia che lo sta rendendo sempre più grande.
Alessia Bartiromo
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