Corteccia dura e badare al sodo, queste le caratteristiche da tipico friulano che Pierlugi Ronzon metteva in luce durante gli anni della sua carriera calcistica, una lunga e faticosa lotta continua per essere ricordato come un difensore arcigno e diligente, uno dei migliori che la retroguardia partenopea abbia mai avuto, soprattutto se si riporta in auge il periodo in cui, assieme con Panzanato, formava un duo di centrali difensivi da nazionale, maglia puntualmente indossata, anche se soltanto per una presenza e nulla più. Ma Pierluigi era anche un po’ “vittima” degli eventi delle squadre in cui militava, stesso dicasi nel periodo napoletano dove, arrivato con la squadra in B per cercare di ripianare un assetto difensivo disastrato dalla cocente retrocessione, prende in mano le redini della retroguardia dapprima come laterale, poi in A chiede ed ottiene di passare centrale, libero per la precisione, dove metterà in risalto le doti ottime di palleggiatore che lo videro mettersi in mostra già dai tempi della Samp, squadra con la quale nacque calcisticamente come “centrocampista offensivo col vizio del gol” (82 presenze e 22 reti) che gli valse anche il soprannome di “piccolo Kocsic“, anche se il suo destino sarà legato alla fase difensiva, già durante la permanenza all’Atalanta e al Milan, esperienza rossonera che non servì a valergli il salto definitivo nel mondo dei calciatori leggendari.
Ma la storia la fece a Napoli, dove vi arrivò nel 1961 e vi rimase fino al 1967, riuscì a vincere una Coppa Italia del 1962 (suo il gol del definitivo 2-1 in finale contro la SPAL), ottenendo anche la promozione in Serie A (combinazione mai più replicata). Ma ciò che lo pone ai vertici delle classifiche di gradimento per quanto riguarda i difensori che hanno militato in azzurro era la sua capacità di impostare l’azione da dietro e la precisione con cui spazzava l’area da ogni pericolo, un po’ quello che, quindici anni dopo, farà un certo Krol, il ruolo di libero che diventa quello di professore, un difensore che si appresta ad essere protagonista anche senza segnare gol, nonostante in duecento presenze con la maglia azzurra sarà in grado di segnare undici volte, mica poche. Vivrà gli anni più importanti della sua carriera in azzurro, e soltanto alcuni screzi, divenuti insanabili, con alcuni compagni nello spogliatoio, lo portarono forzatamente a cambiare casacca proprio durante il ritiro in cui il Napoli si apprestava a preparare il suo nuovo campionato 1963-64, per indossare quella della Lazio, in serie B, la sua ultima squadra prima di abbandonare l’attività agonistica.
A Ronzon gli si può attribuire certamente il fatto di essere stato pioniere di una tendenza che, qualche anno più tardi, vedrà diversi centrocampisti dai piedi buoni arretrare alle spalle dei centrali di difesa per impostare il gioco da dietro, sfruttando le doti balistiche che un ex centrocampista non può certo dimenticare, e Pierluigi, specie negli anni napoletani, ha dimostrato che la nuova figura del “libero” potrà avere primaria importanza nell’evoluzione del gioco e nei dettami tattici, che assorbiranno così un nuovo ruolo che sarà poi attribuito a grandi campioni del calcio, Beckenbauer, lo stesso olandese Krol, ma anche Junior, Baresi, Matthaus, insomma l’elitè del calcio mondiale riconosciuta grazie all’avvento di un ruolo che Ronzon può sentirsi orgoglioso di aver perfezionato grazie alle sue prestazioni.