Anni ruggenti, quelli. Quando Napoli e i napoletani si inorgoglivano dinanzi alle vittorie e allo splendore dei suoi rubini pregiati di matrice sudamericana, ma in un contesto pressoché gioioso e vittorioso c’è stato anche il tempo per perdersi per strada uno scudetto e dare il via ad un turbinio di polemiche che, a quei tempi, parvero infinite. Dopo lo scudetto dell’87, il Napoli calcio sbalordì anche nella stagione successiva, quando proprio sul più bello, nello sprint finale, perse il secondo tricolore con incredibile disinvoltura e sospettabile noncuranza, fattori che determinarono addirittura voci di combine e intromissioni camorristiche nella sfera pallonara all’ombra del Vesuvio. Il fallimento aveva radici alquanto forti nel burrascoso, a quanto pare, rapporto con l’allenatore, l’integerrimo Ottavio Bianchi, l’accigliato e serioso mister del tanto agognato primo scudetto, l’uomo che realizzò i sogni ma che a tutti pareva essere eternamente deluso o definitivamente insoddisfatto di ciò che lo circondava. E’ carattere si dirà, Ottavio è un professore del calcio e non a tutti i suoi metodi possono sembrare risoluti e determinanti come lo sono stati nell’epoca delle vittorie in azzurro, ciononostante a maggio del 1988 venne fuori la tempesta dai soffitti dello spogliatoio partenopeo, con lampi, fulmini e saette come si conviene ad un imponente temporale di fine estate, in grado di lasciare i segni del suo passaggio.
Era arrivato il momento di mettere in chiaro le cose, almeno per una parte del gruppo azzurro, in primis Bagni, ma anche Garella, Giordano e Ferrario, ergo il
2, quella che sancì la resa, nonostante ci fossero i margini per vincerlo ancora, quel tricolore. Garella, ancora in accappatoio, esce con un foglietto pieno di cancellature e correzioni, scritto con una biro blu, in maniera sintetica ma tagliente: “Premesso che siamo professionisti seri e che nessuno questo può negarlo, a seguito della situazione che si è venuta a creare, noi riteniamo giusto chiarire la nostra posizione. La squadra è sempre stata unita e l’ unico problema è il rapporto mai esistito con l’ allenatore, soprattutto nei momenti in cui la squadra ne aveva bisogno. Nonostante
Fece eco, dall’argentina, anche Diego, che non disdegnò di gettare benzina sul fuoco: “Bianchi mi deve spiegare perché alcuni miei compagni sono stati liquidati”. Il tecnico rispose a muso duro: “A Maradona non devo spiegare nulla. E, poi, mi chiami signor Bianchi”. L’altro replicò: “Se c’è ancora Bianchi non torno”. Rispose Bianchi: “Potrà licenziarmi quando diventerà presidente del Napoli”. Il bisticcio fu composto con una stretta di mano a Lodrone. Ma i battibecchi continuarono. Era fuori discussione che i due si stimassero professionalmente, ma i caratteri forti e contrastanti venivano spesso fuori, a volte fino
Articolo modificato 12 Set 2016 - 12:19