Meno squadre “campioni” in Champions e più soldi in Europa League: e se fosse questo il “vero” atto di democrazia calcistica?

Il 30 novembre 2007 la Uefa, per volontà di Michel Platini, che in sede preelettorale l’aveva inserita tra le priorità del suo nuovo mandato a capo del calcio europeo, ha approvato una riforma della fase preliminare della Champions league per assicurare che almeno 5 squadre appartenenti a paesi con ranking inferiore al dodicesimo posto potessero accedere ai gironi.
I play-off perciò sono stati organizzati in modo che nelle “finali” (in programma tra il 19 e il 27 agosto prossimi) si sfidino da un lato del tabellone 10 club campioni dei propri paesi e dall’altro lato 10 club “piazzati” nei propri campionati.
Si è trattato di una riforma “democratica” applaudita infatti dalla maggioranza dei club e delle nazioni Uefa che hanno confermato Platini al vertice del movimento. Indubbiamente la “svolta” ha permesso l’accesso alla Champions (e ai suoi munifici premi) di moti più club e un allargamento, almeno formale, del calcio europeo di prima fascia.
La prossima sarà la sesta edizione in cui saranno applicate le nuove regole entrate in vigore dalla stagione 2009/2010. Ci sono i dati per ragionare sulla opportunità di quelle decisioni e per capire se è effettivamente la strada giusta per aumentare la competitività del calcio europeo e per incrementare l’appeal per sponsor e tv della massima competizione calcistica europea. O se non sia il caso di percorrere altre strade per perseguire questi due obiettivi.
Ebbene nelle cinque stagioni che vanno dal 2009 al 2014 in cui la fase preliminare della Champions è stata organizzata secondo i dettami di Platini, le 5 squadre qualificate ai gironi nel pool “Campioni” hanno raccolto in totale 111 punti e solo in tre casi hanno superato la prima fase disputando gli ottavi di finale (vale a dire, Olympiakos nella stagione 2009/10, Apoel nella stagione 2011/12 e Celtic nella stagione 2012/13). Viceversa le cinque squadre che ogni anno escono vincenti dal pool “piazzati” hanno guadagnato (visto che i punti e le qualificazioni alla fase a eliminazione diretta valgono premi monetari da milioni di euro) complessivamente nei cinque tornei 197 punti e in 14 casi hanno superato il girone.
Il fatto che le squadre “campioni” provenendo da campionati minori abbiano ottenuto poco più del 50% dei punti di quelle “piazzate” appartenenti ai tornei più prestigiosi e si siano qualificate agli ottavi (dove sono regolarmente uscite) solo 3 volte anziché 14 non è di per sè una notizia eclatante, ovviamente. Ma questi numeri potrebbero suggerire il fatto che la “redistribuzione” economica ventilata da Platini come una delle ragioni della riforma, a cinque anni dall’applicazione del nuovo format, evidentemente non funziona. Nel senso che i soldi ottenuti dal “passaggio” ai gironi non permettono ai club minori di rafforzarsi in modo da poter stabilmente competere a livello continentale e quindi sembrano più un “obolo” di partecipazione per le nazioni minori che però rischia di tenere fuori dalla Champions squadre più strutturate che possono davvero aumentare lo spettacolo di quel che è il miglior prodotto del calcio europeo e di conseguenza l’interesse dei network televisivi mondiali e degli sponsor.
L’attrattività di match come Napoli-Atletico Bilbao o Besiktas-Arsenal è, a occhio e croce, maggiore di una partita con Bate Borisov o Ludogorest.
La scelta davvero “democratica” sarebbe magari quella di concentrare nella Champions le squadre migliori in modo da aumentarne i ricavi dimezzando i posti garantiti ai “campioni” e dirottando questi ultimi nell’Europa league. Alla quale, però, andrebbero destinate maggiori risorse rispetto a quanto avviene oggi in modo da far crescere seriamente le potenzialità economiche dell’intero movimento calcistico del Vecchio Continente. Mentre sul piano economico, al di là dei proclami politici, sono state fatte scelte diverse finora. I ricavi della Champions League nella stagione 2013/14 sono stati pari a 1,3 miliardi di euro e il 75% delle entrate provenienti dalla vendita dei diritti televisivi e dai contratti commerciali stipulati dalla Uefa è stata girata ai club tra premi sportivi e market pool. Dalla quota destinata ai club partecipanti alla Champions tuttavia è stato versato un contributo di appena 40 milioni di euro ai club protagonisti in Europa League, i quali l’anno scorso hanno potuto contare su entrate proprie per 170 milioni. E se fosse questa la vera sperequazione da risanare?

Fonte: http://marcobellinazzo.blog.ilsole24ore.com
Autore: Marco Bellinazzo

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