Era il 5 settembre 2004. Napoli si era appena ripresa dallo shock del fallimento: la Ssc Napoli non esisteva più, era appena nata la Napoli Soccer – cambierà denominazione due anni dopo – ed era guidata da Aurelio De Laurentiis, che nell’agosto precedente aveva fiutato l’affare. La curatela fallimentare aveva messo in vendita ciò che rimaneva del vecchio Napoli – ossia il titolo sportivo – per la “modica” cifra di 32 milioni di euro, soldi che sarebbero serviti a pagare i creditori della società i cui libri contabili erano stati portati in tribunale da Salvatore Naldi. Da quel momento iniziò la scalata al vertice del calcio da parte del produttore cinematografico romano (con chiare origini campane, di Torre Annunziata per la precisione), che sentiva di dover intervenire in soccorso dei napoletani, come ha affermato più volte nel corso del tempo.
DALLA C ALLA CHAMPIONS – Il resto è storia. E racconta di un’avventura bellissima, che ha vissuto i momenti bui della serie C, passando per il purgatorio della B e arrivando poi in serie A; fino a toccare il cielo con un dito, quando nel 2012 il Napoli di Mazzarri va a giocarsi la qualificazione ai quarti di Champions League a Londra, contro il Chelsea, dopo un sonoro 3-1 rifilato all’andata ai Blues d’Inghilterra. Qualche mese più tardi arriverà anche il primo trofeo dell’era De Laurentiis: quella Coppa Italia vinta contro il nemico di sempre. E poi ancora un trofeo tricolore, nel maggio scorso, in una partita che segnerà purtroppo un ricordo tristemente indelebile: il ferimento e poi la morte di Ciro Esposito. In ogni caso parliamo di un’epopea vincente: alzi la mano chi, dieci anni fa, pensava seriamente che il Napoli sarebbe diventato quello che è diventato. Ossia un club temuto in Italia, rispettato in Europa e che sta segnando un modello nel panorama calcistico mondiale: Aurelio De Laurentiis è tra i pochi ad aver recepito alla perfezione il fair play finanziario, il Napoli è l’unica società in Italia che non ha debiti con le banche e può poggiare su basi solide rappresentate da un fatturato strutturale di 120 milioni di euro.
SI E’ ROTTO QUALCOSA – Negli ultimi tempi il rapporto tra De Laurentiis e una parte consistente dell’ambiente partenopeo sembra essersi incrinato. Al presidente azzurro viene contestato di non aver rinforzato la squadra in vista del preliminare Champions – poi perso contro l’Athletic Bilbao, e soprattutto di aver sbandierato ai quattro venti l’obiettivo scudetto. In una vena di esagerazione tutta partenopea, c’è chi addirittura invita i tifosi a disertare lo stadio in occasione di Napoli-Chievo di domenica prossima, volendo far capire a De Laurentiis che è giunto il momento di cedere il club. E siccome Napoli nelle sue esagerazioni sa anche farsi del male, diventando autolesionistica in maniera esponenziale, è di ieri la fantomatica notizia di un prossimo incontro tra il patron azzurro e alcuni investitori stranieri intenzionati a rilevare per intero o in parte le azioni della società. Vera o falsa che sia, lo scopriremo solo in futuro. Di certo, a questi livelli, trattative così importanti vengono condotte nell’assoluto riserbo. Basti pensare alla sorpresa suscitata dalla cessione della Sampdoria da Garrone a Ferrero: nessuno ha saputo nulla fino al momento delle firme.
LA GIUSTA NEMESI – In ogni caso, una considerazione – condivisibile o meno, ma che è lecito fare – viene alla mente: Aurelio De Laurentiis ha rappresentato la nemesi ideale per questa città. Da sempre abituata a vivere nell’improvvisazione, in quella filosofia tutta partenopea del “tirare a campare”. Il calcio ha preso una piega diversa: se un club non viene condotto con una filosofia oculata, rischia di trovarsi gambe all’aria. L’esempio dell’Inter è emblematico: nel 2010 Massimo Moratti ha condotto la società nerazzurra a vincere il triplete. Tre anni dopo, sommerso dai debiti, ha dovuto cedere il club al magnate indonesiano Erick Thohir. E’ chiaro che se anche a Napoli dovesse presentarsi un’occasione del genere, bisognerebbe tenerla in considerazione, e siamo certi che lo stesso De Laurentiis lo farebbe. Nel frattempo meglio tenerselo stretto, e magari pungolarlo su ciò che in realtà andrebbe fatto per far crescere ancor di più il Napoli: un centro sportivo di proprietà dove far allenare prima squadra e giovanili, investimenti importanti proprio sul settore giovanile; ancora, diversificare gli introiti, sviluppando in maniera maggiore il marketing; ultimo, ma più difficile a causa delle implicazioni politiche, la costruzione di un nuovo stadio di proprietà che consenta al Napoli di mettersi in scia alle grandi società europee. In bocca al lupo.