”Puoi cadere migliaia di volte nella vita, ma se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non lo farai mai in ginocchio, sempre in piedi”. A 29 anni esatti dalla sua morte, le sue parole accarezzano l’attualità come una delicata risacca notturna. Ma i moniti di Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, sono anche un pugno sferrato in pieno viso all’Italia indifferente, contraddittoria e collusa. Un eroe, un giornalista “giornalista”, un portatore sano di verità insabbiate. Insomma tutto quanto in Italia, a molteplici livelli, è morto e sepolto.
Napoli è crollata, tante volte. Sotto i colpi di sé stessa, innanzitutto. Inerte spettatrice di un decennale saccheggio della propria identità e dignità. Un cancro in ventre mai veramente combattuto, per pigrizia o rassegnazione.
Napoli è crollata, tante volte. Colpita alle spalle da un apparato politico non solo latitante e burattino, benché incapace di tirar su le maniche e almeno spalare via il fango.
Napoli quel fango lo mangia, giorno dopo giorno. Quando la giustizia sommaria e approssimativa rappresenta solo il boia che attiva la gogna mediatica. I media, proprio loro. O meglio una mandria di giornalisti “impiegati”, deontologicamente inopportuni se rapportati alla figura di Giancarlo Siani. Quelli che non sanno interpretare le notizie, quelli a cui mancano i riscontri della strada perché la scrivania è comoda e priva di rischi. Gli apostoli dello scoop a tutti i costi, seppur condito da falsità e luoghi comuni spiccioli.
Nuova luce su Genny a’ carogna, assoluto mattatore della tragica serata del 3 maggio scorso a Roma. Il suo arresto è la cartina di tornasole di un sistema marcio e ingannevole. Nella giornata in cui lo Stato ha clamorosamente fallito in ogni sua componente, le mani intrise di sangue si asciugano con il lenzuolo sporco. Quale miglior capro espiatorio di un pregiudicato pluritatuato, dal faccione tenebroso e con indosso una maglietta che solo in quell’occasione ci si è accorti invocasse alla violenza?
La “trattativa”. Lo ammetto, impazzisco per questo vezzo lessicale. Se non sbaglio ricorda solo corruzioni a raffica dell’ultimo trentennio di politica, processi nei quali è sempre lo Stato ad uscirne con le ossa rotte. La stampa utilizza questo epiteto riguardo i fatti dell’Olimpico per provocare sdegno nella popolazione e infilare la camorra anche dove non ce n’è necessità. Così, per un po’ di sensazionalismo e per abbattersi sull’immagine straziata di Napoli. E invece così colpiscono ancora una volta le stanze dei bottoni e i loro insulsi portavoce. Coloro che hanno negato fin dal principio l’assenso degli ultrà affinchè la partita si giocasse, assenso ora ricomparso nelle motivazioni della sentenza. Farsa tutta italiana. E se c’è stata, magari bisogna anche ringraziare. Altrimenti chissà che nottata avremmo rispedito agli annali.
Cinque mesi per accalappiare Genny, ma non per fare giustizia. Trattativa risolta, puniti gli scavalcamenti delle balaustre. Ma l’omicidio c’è stato o è solo uno dei miei peggiori incubi? Il sangue è stato versato fuori dallo stadio, dentro solo chiacchiere e ricostruzioni ad hoc. Eppure il criminale che ha fatto fuoco è ancora a piede libero. Probabilmente chi lo sta coprendo è parte integrante di questo teatrino. E tutta questa insensatezza non ammazza solo la famiglia di Ciro per la seconda volta, ma continua ad infierire sul corpo di una città già moribonda.
Rialzati, Napoli. Non lasciarti stuprare ancora senza opporre resistenza. Prendi esempio dal coraggio di Giancarlo e fai valere il tuo orgoglio millenario. Abbandona i clichè, affronta i soprusi ed inizia ad urlare la tua rabbia. Ma, prima di tutto, impara a guardarti allo specchio.
Ivan De Vita
Riproduzione riservata