Eppure sembrava una serata come tante. Troppe. Anzi, peggio delle altre, con il tiro della domenica del solito mediocre che arriva al “San Paolo” e viene posseduto dallo spirito di Chissà Chi: addirittura stavolta un tiro a volo da fuori area dopo 30 secondi. Da abbattere un toro, insomma. Sembrava la notte definitiva, quella che rischiava di amplificare la confusione e la pioggia delle contumelie da parte dei tifosi appassionati e perciò stanchi di subire, di vedere indossata quella maglia senza sapienza e senza volontà e quindi perdente.
Peraltro al gol della domenica dopo trenta secondi era seguito un terribile e intenso attaccare a testa bassa, col solito portiere
sconosciuto a parare anche l’impossibile, con una messe di calci d’angolo inutilizzati e percentuali triple e quadruple di possesso palla senza risultato. E man mano che i minuti trascorrevano e il
punteggio rimaneva identico, davanti agli occhi si parava lo
spettro dell’ennesima e forse definitiva sconfitta, che sarebbe
stata il timbro sulla carta bollata del fallimento stagionale, così
presto, troppo presto.
Man mano che passavano i minuti e si avvicinava l’intervallo, tra i tifosi sugli spalti, nelle case e nei bar si formava la convinzione scaramantica che, se non si fosse riusciti a pareggiare entro la fine del primo tempo, sarebbe stata preparata la famosa tragedia sportiva. E arriva atteso come un primogenito, come il primo sole di primavera, il risveglio: quello del capitano.
Arriva come ai vecchi tempi, con un sapiente inserimento dalle
spalle, il centrocampista immarcabile perché dotato delle movenze del falco, rapace e chirurgico. È stato allora, all’ultimo respiro
della prima fase, che abbiamo immaginato che sarebbe stata
una notte diversa: forse era la speranza, la stessa che ci aveva animati ogni volta quest’anno, ogni volta sbagliando. E invece, anche
per la forza dei grandi numeri, stavolta non si sbagliava.
Ed è arrivato il secondo gol del capitano, tira una volta, tira due volte, tira tre volte e mettila dentro. C’era un’altra aria in campo, era l’aria della consapevolezza dell’ultima spiaggia. Ieri sera si voleva vincere. Mai fantasmi si accantonano e si allontanano,
non si uccidono e quindi si ripresentano; il cuore ha mancato un battito quando un altro sconosciuto ha approfittato dell’amnesia difensiva che è di serie, e ha pareggiato. A quel punto serviva l’esorcista: e l’esorcista, come il pubblico scandiva da diversi minuti, portava il numero nove sulle spalle. L’abbiamo chiamato,
l’esorcista: ed è arrivato puntuale, bussando non una, non due ma tre volte, ed è stato il secondo e forse più bel risveglio,
nella notte del cambio di direzione; non l’ultimo, perché a
quel punto anticipando Halloween si è risvegliato Albiol con un’azione infinita e meravigliosa
che ha portato la seconda palla sul piede di Higuain, e si è risvegliato perfino Rafael con la parata giusta sul pallone giusto, che
avrebbe riportato i fantasmi in campo.
Fantasmi cattivi, ma anche fantasmi buoni: e quindi il Grande Calleti ci mette lo zampino e sale sulla cima della lista dei marcatori, senza rigori e senza punizioni e solo con la sua immensa classe e con la famosa, più volte evocata cazzimma. Due annotazioni a margine, però, ce le permettiamo. Ingiusto chiudere la bocca ai ragazzi, che avrebbero potuto e dovuto
dirci come si sentivano nella notte del risveglio. Non si toglie ai tifosi la voce dei loro beniamini, nel momento in cui quella voce è
gioiosa, dopo averla dovuta sentire triste e tremante. E giusto invece applaudire, dopo aver criticato, senza fare distinzione di carri di vincitori e di sconfitti. Il tifoso paga, e paga tanto, non solo in termini di soldi ma di passione: ha il diritto di fischiare e criticare quando le cose non vanno bene, e ha ancora di più il diritto di essere felice, se il campo lo rende felice. E il tifoso, si sappia, è felice in un solo caso: se il Napoli vince. A
buon intenditor, mezza parola.
Maurizio de Giovanni per Il Mattino