Il primo gol il 18 agosto contro il Pisa in Coppa Italia. I capelli prima lunghi, poi corti. La barba. Quel modo di camminare e di correre ciondolante e levriero. Il gol all’ultimo respiro al Sant’Elia contro il Cagliari, con annessa esultanza improvvisata gettandosi nei cartelloni. Arsenico e champagne. I tatuaggi. Il rosario e le pistole. Le interviste a voce bassa. Quella doppietta in Champions contro il Chelsea, in una notte che non si scorderà mai. Quella notte del 20 maggio contro la Juve, il rigore procurato, l’urlo e le lacrime mischiate sotto la curva. Il gol del 4 novembre contro il Liverpool ad Anfield, il 7 prima, il 22 poi. Il trio delle meraviglie con Cavani ed Hamsik. Le notti pazze contro la Juve al San Paolo, sempre vittoriosi. Le bestemmie ad ogni partita: passala! Alza quella maledetta testa! Il gol di tacco al Bari e quella magia, purtroppo, inutile contro il Milan al San Paolo. L’idea, tuonante, di avere di fronte un figlio argentino, un figlio di Napoli. Un fratello, un amico. Uno che con noi aveva a che fare, col calcio e con la vita.
Di Lavezzi rimane questo. I ricordi che lo hanno legato a noi e alla maglia azzurra. Perché al di là di inutili chiacchiere di calciomercato, mi piace ricordarlo così. Un tocco d’azzurro, e d’Argentina, a Napoli. Un ragazzo come noi. Non escludo il ritorno, ma siamo realisti. Meglio, a volte, non rovinare una bella storia d’amore.
Raffaele Nappi