Il momento non è semplice, senza alcun dubbio il più duro della gestione di Aurelio De Laurentiis. Niente di paragonabile a quando il Napoli fu costretto ad un secondo anno di inferno di Serie C, del resto quell’annata fu particolare, in tutti i sensi. Lontano anni luce dal limbo della parentesi Donadoni, una piccola battuta d’arresto per un progetto in progress, come sempre definito ai tempi dal patron azzurro. Dal 2009 in poi la crescita è stata repentina, travolgente, gli azzurri sono tornati in Champions dopo un quarto di secolo, tornati a sollevare dei titoli. Il Napoli è diventato una realtà riconosciuta e apprezzata, grazie a prestazioni indiscutibili, a livello europeo. Tutto condito da una gestione imprenditoriale impeccabile, una società virtuosa che tutt’ora rappresenta un esempio di come si possano raggiungere ottimi livelli – dati innegabili – autofinanziandosi e tenendo i conti in ordine.
Padre padrone – Cinque anni caratterizzati da una linea societaria chiara, dopo un primo quinquennio di di apprendistato con un maestro dello spessore di Pierpaolo Marino, il presidente De Laurentiis ha deciso di agire in prima persona, anche sul piano tecnico. Campagne acquisti portate avanti in prima persona, coadiuvato da un ottimo Direttore sportivo come Riccardo Bigon e da tecnici scelti personalmente, prima Walter Mazzarri e poi Rafa Benitez, l’apogeo della sua gestione. Il Napoli sono io, un Re Sole in versione partenopea, accompagnato da pochi uomini di fiducia. Tutto quanto fatto fino a quest’anno ha dell’impeccabile, la creatura nata in quel caldo agosto del 2004 ha raggiunto probabilmente picchi che, quando la Ssc Napoli null’altro era che un pezzo di carta erano difficilmente immaginabili. La stagione 2014-2015 poteva, più che doveva, essere quella del definitivo salto di qualità, salvo scossoni molto probabilmente non lo sarà.
Cambiare registro – I due cazzotti ben assestati dal Milan nella sfida di San Siro hanno messo al tappeto un pugile che appariva a corto di fiato da un po’. Ma oltre le diatribe tecniche, tattiche, agli appunti su una campagna acquisti che poteva essere migliore, oltre la convinzione – permettete – che il Napoli resti, comunque, nettamente la squadra favorita per il terzo piazzamento Champions, questa difficile parentesi lascia spazio ad altre considerazioni. Il silenzio, soprattutto per un uomo mediatico per definizione, di Aurelio De Laurentiis appare quantomai assordante. Ma se nulla si può obiettare ad una parentesi di low profile per un uomo che è sempre stato in prima linea da questo punto di vista, dall’altro lato emerge una considerazione che va oltre il mero aspetto dell’immagine. Una società che vuole attestarsi, con costanza, al top non può fare a meno di un organigramma societario più ampio. Uomini di calcio di competenza, qualità e spessore, pronti a fare da frangiflutti tra scrivania e campo, punti di riferimento per presidenza, giocatori ed anche per un allenatore del palmarès e del valore di Benitez, che come chiunque può vivere momenti di difficoltà. La Juventus, restando nei nostri confini, che domina in Italia da oltre tre anni, può vantare dirigenti di indubbio livello come Marotta e Paratici, oltre a contare nel proprio c.d.a su un ex fuoriclasse dell’esperienza e dal curriculum di Nedved. Un esempio diretto, forse semplicistico, la Juventus ha una forza economica indubbiamente superiore, ma che dimostra come per programmare la continuità ad alti livelli, per superare anche momenti difficili – la Juventus in pieno ritiro si è trovata priva della propria guida tecnica – una società ben strutturata abbia un peso fondamentale.
Più di qualche, indubbiamente utile, innesto. Più del tante volte richiesto salto più lungo della gamba, il vero, reale, salto di qualità passa proprio da qui.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 16 Dic 2014 - 13:02