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Maurizio de Giovanni: “Noi e loro come in quel lontano novembre, perchè non sarà mai una partita qualsiasi”

È novembre e piove. C’è stato un fallo in area, ma il Potere determina che in quel caso non è rigore, ma calcio a due. I nostri protestano, noi ululiamo dagli spalti, ma niente da fare: il Potere è forte, e per il Potere non è rigore. Allora i nostri si rassegnano, siamo zero a zero e quel calcio a due è pur sempre un’occasione, perché abbiamo dominato tutta la partita e la palla non vuole entrare ed è ormai il settantaduesimo del secondo tempo. Loro fanno la barriera, e si mettono a cinque metri dalla palla, invece che ai nove metri. Non c’è lo spray e nemmeno le telecamere avanzate col cerchio magico che misura la distanza. I nostri protestano e protestano, ma il Potere scuote il capo: o così,
o niente. Allora Lui, il Capitano sussurra ai compagni: tranquilli, io tiro. E gli faccio gol lo stesso.

È il 1985, il Coso tricolore arriverà solo nell’87, ma questo è uno dei tanti momenti in cui, sulla strada della vittoria, ce li siamo trovati difronte, uguali a come sono sempre stati: forti, fortissimi, frutto di una ricca pianificazione, pieni di fuoriclasse e soprattutto vincenti. Loro erano quelli che se arrivavano secondi avevano buttato la stagione, erano quelli che se veniva fuori un ragazzo forte in qualsiasi squadra della penisola
se l’andavano a prendere, loro erano quelli che non perdevano mai. E noi, invece, vivevamo di qualche sporadico successo senza costrutto,
di singole partite da ricordare, di episodi.

Noi e Loro. Noi come fiorentini, romanisti, interisti e perfino come quelli del Toro: tifosi della squadra che rappresenta la nostra terra, condannati a soffrire nei lunghi anni dei cicli perdenti, costretti a subire gli sfottò di tanti lunedì grigi. E Loro, schiere di innamorati della vittoria, generazioni di persone disposte a sacrificare parte della propria identità per poter dire di aver vinto, per potersi illudere di essere fortissimi almeno in qualcosa. Noi, legati alla voglia e alla forza di singoli imprenditori, ricchi del momento e magari appassionati della passione della gente, senza stadio, senza soldi, senza fatturato e con pochi investimenti. Loro, figli dell’immensa fabbrica multinazionale, giocattolo della vera famiglia reale d’Italia, finanziata e rifinanziata, capitalizzata e ricapitalizzata a seconda delle necessità tecniche, trasversali in tutto e per tutto, rappresentati in ogni fascia e in ogni canale. Noi, aggrappati all’epos di una vittoria di quasi trent’anni fa, che sappiamo dire di ogni singolo minuto di quel dieci maggio dell’ottantasette, il giorno in cui l’ordine costituito fu sovvertito. Loro, che non ricordano nemmeno dov’erano il giorno
del penultimo scudetto, ché tanto vincono ogni anno e se gli tolgono gli scudetti per qualche scandaletto imbarazzante se li contano lo stesso. Noi e loro.

Non sarà mai una partita qualsiasi, questa. Chiamatela coppa, coppetta, coppina, minicoppa o supercoppa, coppa di maiale o coppa del nonno, non sarà mai una partita qualsiasi. Il vero tifoso azzurro non vuole sentire parlare di basso valore del trofeo, di grande distanza in campionato, di favoriti assoluti: è una vita che giochiamo contro i favoriti assoluti. Il vero tifoso azzurro se ne frega del momento storico, del fatturato e del valore oggettivo, delle forze in campo e dello stato di forma. Il vero tifoso azzurro non pensa alla distanza, agli interessi commerciali, al mercato incipiente e ai giocatori con la valigia. Il vero tifoso azzurro sa solo che si gioca contro di Loro, di nuovo, e che quello che c’è in palio quando si gioca contro di Loro è sempre molto più importante di qualsiasi trofeo, comunque lo si chiami e dovunque si giochi il match.

Loro sono quelli del Potere; quelli che sorridono con supponente condiscendenza ogni volta che ci vedono arrancare per raggiungere gli
stessi livelli, nella piena consapevolezza che, seppure accadesse, sarebbe una cosa assolutamente momentanea. Quelli che all’indomani
di una vittoria già pensano alla successiva, e a stento festeggiano. E quindi, quanto sarebbe bello incrinare quel sorriso e quella sicurezza; quanto sarebbe bello sovvertirlo di nuovo, quel maledetto pronostico; quanto sarebbe magico tornare da quel posto strano con qualcosa di metallico e pesante e coi manici, alla faccia di chi dice: vinca il migliore. Sarebbe bello, sì, che prevalesse il colore sul bianco e nero, giacché la si deve guardare per forza in televisione per esigenze commerciali.

Sarebbe bello che finisse come allora, nel 1985; quando a dispetto della distanza, della pioggia, della barriera, del portiere e della stessa fisica Lui disse a Bruscolotti: lascia stare, tanto io
gli faccio gol lo stesso. E vinciamo la partita. E allora vinciamola, questa partita.

Maurizio de Giovanni per Il Mattino

Articolo modificato 22 Dic 2014 - 13:20

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redazione