L’inizio di questo 2015 non ha di certo lasciato a desiderare, l’ampia intervista che il presidente Aurelio De Laurentiis ha rilasciato alle colonne de Il Mattino ha portato in dote un’infinità di spunti, come da migliore tradizione del patron partenopeo. Se buona parte dei punti affrontati appaiono inconfutabili, dall’annosa questione stadio ai passaggi sui risultati ottenuti, bilancio e fair play finanziario, c’è una valutazione, in particolare, che non ha accolto unanimi consensi: l’allusione, con critica per nulla velata, alla poca maturità della piazza, come discriminante per raggiungere il vertice.
Autocritica e affondo – “Un errore che mi riconosco è aver detto durante il ritiro di Dimaro che avremmo vinto lo scudetto. Sulla razionalità del presidente è prevalsa la passione del tifoso: mi sono lasciato prendere la mano. Non è così semplice vincere, perchè se si parla di scudetto è come se si escludessero squadre come Juve, Roma, le milanesi. L’obiettivo del Napoli è essere competitivi sempre. Prima o poi lo scudetto arriverà, ma non perché arriveranno uno o due giocatori. Si vince quando c’è un fronte unico composto da squadra, società e tifosi. Lo scudetto ci sarà quando l’ambiente sarà maturo”. Lodevole l’autocritica, il mea culpa a mezzo stampa per quello che viene sostanzialmente considerato, insieme alla debacle agostana in terra basca, il peccato originale di questa stagione. Il fendente, per nulla celato, all’ambiente però sembra allargare fin troppo il tiro, per nulla corretto in seconda battuta: “Quando parlo di ambiente maturo, mi riferisco a tifosi che non siano vicini al Napoli soltanto quando vince. Anzi, è nei momenti più difficili che il tifoso deve dare sostegno e calore, dimostrarsi innamorato. Noi siamo fedeli, non mettiamo le corna a nessuno”.
Dove l’errore – Che il pubblico del San Paolo sia cambiato in questi ultimi, avvincenti, anni, è chiaro, limpido, palese. Forse non in meglio, ma è la naturale evoluzione di un percorso. La vorticosa crescita del club ha ovviamente coinvolto anche la piazza, che da ambiziosa matricola in progress è diventata una realtà importante del calcio italiano, mostrando all’Europa intera tutto il proprio immenso, e negli anni dimenticato, potenziale. Ovvio che la platea di Fuorigrotta sia ormai diventata di bocca buona. Anni di ottimi risultati, hanno indubbiamente reso fine il palato del tifoso partenopeo che dalla metà degli anni ’90 era stato chiamato ad ingurgitare bocconi fin troppo amari. Spesso si sono presentati eccessi da stigmatizzare, mai un passo indietro si è visto su queste colonne verso gli inopinabili fischi nei confronti degli atleti azzurri a partita in corso. Un atteggiamento innegabilmente umorale, soprattutto in una stagione, quella attuale, che di certo non è iniziato con i migliori propositi. L’autocritica del presidente De Laurentiis dice tutto, con tali premesse, sebbene – come ammesso – nate forti di un entusiasmo eccessivo, è ovvio che i nodi vengano subito al pettine. Scontato che la piazza storca il naso dinanzi ad una campagna acquisti monca, ad un’eliminazione dalla massima competizione europea, ad un inizio di campionato che ha visto quasi istantaneamente compromesse le ambizioni scudetto. I proclami estivi hanno foraggiato un entusiasmo che cova vivo in questa città, un sogno mai celato, sempre sostenuto a gran voce. Inutile stranirsi se le conseguenze arrivano puntuali.
Memoria storica – Critiche che inoltre appaiono ingiuste, alludere ad una passione ad orologeria significa sbugiardare quanto il pubblico napoletano abbia dato nel processo di crescita di questo progetto. Un pubblico che ha gremito il tempio di Fuorigrotta oltre la categoria, oltre il risultato e, agli inizi, anche oltre il nome del club. Se il Napoli ha raggiunto certi risultati lo deve indubbiamente alla sagacia imprenditoriale del patron partenopeo, al lavoro svolto dai vari staff, dai tecnici e dagli atleti che hanno lavorato in questo decennio. Ma il Napoli, senza l’ineguagliabile passione del proprio pubblico, che solo ieri ha riempito il San Paolo per un semplice allenamento, non potrebbe essere il gioiello societario che indubbiamente rappresenta. Le critiche sono giuste, ma l’apprezzamento, il riconoscimento, per quanto dato in passato, nel presente, per quanto avverrà nel prossimo futuro, non deve mai mancare. Chiedere, come dovuto, merito per quanto fatto in due quinquenni che hanno rappresentato una galoppata meravigliosa deve anche portare a non dimenticare quanto ricevuto dai propri tifosi.
Equilibrio – Il discorso si sposta poi, ovviamente, sul lato tecnico e strutturale. La compattezza dell’ambiente è un aspetto essenziale, ma la realtà dei fatti insegna che le piazze abituate a vincere sono quanto più di umorale ed esigente esista. Per raggiungere risultati è necessario in primis avere una rosa competitiva a livelli importanti, in ogni reparto, e questo è un solco che separa il Napoli dalle battistrada, un complesso di strutture all’avanguardia, punto sempre battuto con fermezza da Rafa Benitez, oltre ad un pizzico di buona sorte che non guasta mai. Le fondamenta per il vertice restano queste, chiedere un maggiore sostegno, una crescita al pubblico azzurro è un’invettiva impeccabile. Spostare, però, l’indice su certi aspetti porta, senza ombra di dubbio, sempre più lontani da quello spalla a spalla di cui il Napoli in questo 2015 non può fare a meno.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 3 Gen 2015 - 21:05