“Pino è un po’ l’Eduardo della canzone, un musicista che riesce a tirare fuori napoletanità e sentimento senza cadere nel folklore o nel partenopeo a tutti i costi” (Massimo Troisi)
Se n’è andato di notte, così, lasciandoci a bocca aperta, in un freddo mattino di gennaio. E’ morto così Pino Daniele, bluesman e anima partenopea nel mondo: ci ha lasciati nella notte del 4 gennaio, nella sua villa in Toscana. Era appena tornato a casa dopo le fatiche di Capodanno, i concerti in diretta sulla televisione nazionale e il tempo passato insieme al figlio e alla famiglia. Se n’è andato una delle anime più potenti di Napoli, un mito, un simbolo, una tendenza indiscussa e indiscutibile.
Ha dato voce a una città senza voce, raccontandola come nessuno. Ha messo in parole e in musica un intero popolo, con Terra mia, scritta a 18 anni, ma anche Napul’è, diventato il suo masterpiece. Ha riunito i migliori della sua generazione intorno al sogno della rinascita, con il Neapolitan Power: l’energia napoletana che ha strabiliato i 200mila presenti quella notte del 1981 in piazza del Plebiscito, con Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito, James Senese, e le note jazz, blues, funky e rock. Ha sognato l’America, e se l’è presa con il suo stile inconfondibile, la sua voce unica nel panorama musicale italiano e non. Ha scavato nella musica e nelle anime del suo popolo, tirandone fuori pezzi strabilianti e profondi; ha collaborato con i migliori al mondo del suo genere; ha sperimentato, esagerando a suo modo, uscendo fuori dal coro.
Napoli perde un altro pezzo di storia e di rappresentanza nel mondo: un musicista indiscusso anche oltre oceano, dove ha suonato con Eric Clapton, per dirne uno. Pino Daniele era uno di quelli per cui agli altri brillavano gli occhi quando dicevi che eri napoletano. Era un vanto, un maestro buono e sgangherato: non amava il pallone alla follia come molti di noi tifosi, ma viveva insieme alla città questa passione, senza offenderla, condividendola. A Maradona dedicò una canzone, a tutti i napoletani ha dedicato buona parte della sua musica.
Nessuno potrà raccontare più Napoli come lui, nessuno potrà cantarla, Napul’ è , come faceva lui. Nessuno, come noi, potrà prendere le parole di un testo e farle proprie, tenersele nel profondo. Con la chitarra faceva quello che voleva, così come con le parole.
Ci sono due modi per capire quando un uomo è stato grande: con il ricordo degli altri e quello della critica. Pino Daniele, non ha mai avuto bisogno del secondo. Con Napoli è cresciuto, da Napoli è stato amato e ricambiato, come successo a pochi artisti azzurri. Ha incarnato l’anima di Partenope rendendola blues. Capisci che Pino Daniele è entrato nei cuori di tutti quando lo senti citare dai grandi, dalle ragazze, dai bambini. Come Pantani quando corri con la bici, come Schumacher quando vai veloce in auto, così Pino rappresenta un must, un simbolo per tutti.
La notte del 1 marzo 2013, proprio contro la Juve, la curva B diventò un immenso Vesuvio luccicante e fumante, con in basso due sole parole per rispondere ad anni di insulti e cori beceri: Terra Mia. Era, è, e sarà una delle coreografie più belle che si ricordi al San Paolo, sicuramente una delle più suggestive. Era la consacrazione di Pino con i Napoletani. Ma stanotte, Pino, ci ha abbandonato, lasciandoci da soli a combattere contro pregiudizi infondati e gli irrimediabili errori che ci trasciniamo da secoli. La strada, però, è segnata. Yes I know my way, cantava Pino.
Canteremo anche per te, ognuno nel suo cuore, al prossimo trofeo. E Napul ‘è, quel giorno, avrà un significato speciale per ognuno di noi.
Raffaele Nappi
Articolo modificato 5 Gen 2015 - 09:47