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Davanti alla tv senza mordente. Perchè quella Coppa l’hai appena alzata, ed è la seconda volta in tre anni. Insomma, sa un po’ di minestra riscaldata. Questi i sentimenti diffusi tra i tifosi del Napoli al calcio d’inizio di ieri sera. La partita poi assume un tono aspro, con le nostre amnesie, la mancanza di mordente, l’incapacità di mettere all’angolo un avversario in dieci uomini. Il tasso di rabbia e adrenalina ha sfiorato picchi improbabili. Fino a quel balzo. Un altro balzo di un uomo in casacca verde a fermare il calcio di un uomo a strisce bianconere. Un piacevole deja-vu balistico. Con un rilievo chiaramente diverso. Ma con un’esultanza altrettanto scatenata, nonchè inattesa considerate le premesse. Ma non era una Coppetta? Sì, esatto. Ma siamo pur sempre i detentori e certe figure vergognose dovremmo cercare di evitarle. E poi anche per quel Kone, poveraccio. I milioni di insulti e i riti voodoo che lo hanno surclassato dopo l’ennesima prodezza a Fuorigrotta lo avrebbero rispedito nel limbo dei mediocri dove risiede stabilmente fin quando non gli capitano anche solo 10’ da giocare al San Paolo. E invece forse sorvoleremo. Magnanimi.

Una fatica agghiacciante per superare questo turno, come ci capita tradizionalmente in ogni ottavo di finale di questa competizione. Una vittoria sofferta e costellata di ombre vale sempre una vittoria. E a volte pesa ancor di più di un facile predominio. Se vogliamo estrarre qualche aspetto positivo lo si trova, per fortuna. La magia di Hamsik ha strabiliato gli occhi ed è sembrato tra i partenopei più vivi in campo, malgrado i suoi alti e bassi si confermino anche all’interno di una singola gara. Strinic dimostra di non aver illuso nessuno domenica scorsa all’Olimpico e in barba a chi lo ritiene in ritardo di condizione, sfodera 120’ di corsa e affidabilità. Poi c’è Zapata, ancora decisivo con i suoi movimenti e la capacità di attrarre i difensori con la sua stazza. Per Manolo Gabbiadini vale il discorso dell’impatto con una realtà diversa da quella di Genova. Dovrà farsi le ossa, ma il mancino non dispiace e qualche buono spunto nel primo tempo ha saputo regalarlo alla platea.

Sulle note dolenti si potrebbe pescare bendati dalla gara. Ma io voglio estendere la mia analisi prendendo solo spunto da quanto accaduto ieri. E fare due considerazioni sui nostri personalissimi desaparecidos. Gli infortunati, innanzitutto. Mentre Insigne accorcia i tempi di recupero ogni giorno che passa, Zuniga e Michu sono coperti da un alone di mistero. Il colombiano ci ha abituato a queste sparizioni da cronaca nera, così come sparisce la cartilagine dal suo ginocchio per poi riapparire in tempi record per un bel mesetto di Mondiali. L’ex Swansea, dal canto suo, si è operato a fine novembre alla caviglia destra. Doveva tornare in campo ad inizio anno, ma va e viene ancora dall’Inghilterra per farsi seguire dal suo fisioterapista di fiducia. Abbiamo fiducia anche noi, figuriamoci. Esisterà mai un’Area 51 dedicata solo ad atleti del Napoli?

Se esiste almeno ditelo, perchè noi di sospetti iniziamo ad averne un bel po’. E qui parliamo di giocatori in perfetta forma fisica e che pure non si riconoscono più. Nemmeno guardandonsi allo specchio, con ogni probabilità. Partendo da Gokhan Inler, che per una serie di congiunzioni astrali potremmo rivedere in campo lunedì contro il Genoa. Almeno per assicurare la famiglia che sta bene, è da un po’ che non lo si vede inquadrato. Jorginho ha riscattato parzialmente la sua involuzione con i due rigori battuti con freddezza ieri sera. Eppure girovaga ancora affannato per il campo e con idee spesso appannate. Ma vogliamo parlare di Henrique? Assurda la sua metamorfosi. Apprezzato da critica e tifosi la scorsa stagione tanto da meritare addirittura la maglia del Brasile. Ad oggi ha perso ogni sicurezza, sempre stralunato e impreciso. Va bene lo scarso impiego, ma non credo che l’anno passato avesse un minutaggio nettamente superiore. Se poi, in un momento già delicato per lui, gli si piazza accanto quel furfante di Britos, non è un po’ come sparare sulla Croce Rossa caro Benitez?

Aspettate un attimo. Solo altre due righe, ve lo prometto. Solo perchè il rossore del mio pugno ultimamente è quasi sempre merito suo. Che fine ha fatto Dries Mertens? E non parlo di una, due gare. Qui si va avanti da mesi. Dall’infortunio di Insigne, forse, se non anche prima. Funambolico, sgusciante, estroso, letale. Decisivo. Forse l’uomo di maggiore caratura della rosa, capace di intrecciare velocità, assist e freddezza sotto porta. Una figurina Panini dell’anno scorso, uno spazio lasciato vuoto negli ultimi sei mesi. A volte decisamente irritante, altre addirittura deprimente. Qualche suo sprazzo contro Lazio e Juve nell’assoluto grigiore generale di svogliatezza e mancanza di spunti. Troppo forte il vero Dries per non chiederlo indietro a qualunque cifra per il riscatto. Anche un quarto del Maschio Angioino. Ma prima deve sapere lui stesso cosa lo stia turbando.

Sei personaggi in cerca d’autore, mi verrebbe da dire. Rapiti dagli alieni o semplicemente alienati? Al tour de force del prossimo mese l’ardua sentenza.

Ivan De Vita

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Articolo modificato 23 Gen 2015 - 22:03