Avete presente le barzellette che cominciano con: “Ci sta un napoletano, un inglese e un francese”? Ecco. Il racconto della mia partita di Napoli-Inter di Coppa Italia potrebbe cominciare più o meno così. E allora partiamo. Ci sta una napoletana, un interista e un milanista. La prima andava a vedere la propria squadra del cuore giocare in casa, il secondo andava a vedere la propria squadra del cuore giocare fuori casa, il terzo andava a guardare, praticamente, un derby. Tutti e tre, con la dolce compagnia di un’altra donzella, pure partenopea, una volta arrivati allo stadio, dopo mini perquisizioni e tornelli affollati, siedono alla solita postazione in curva B, deck 4, con il solito gruppo di amici che, per l’occasione, hanno accolto i “diversamente tifosi”, con sportività, quasi dimenticando la loro mancanza d’azzurro addosso. Comincia così la mia Napoli-Inter di Coppa Italia. L’Inter era reduce da una sconfitta mortificante sul campo del Sassuolo, il Napoli da tre punti presi a Verona contro il Chievo che aveva visto in grande spolvero il neo acquisto Gabbiadini. Noi avevamo note positive che ancora risuonavano nell’aria, loro tante note stonate. Eravamo tutti fiduciosi, ma, come ha detto, anzi, sperato, quasi in un moto di autoconvinzione, l’amico interista: “Con la partita secca, non si sa mai”. E per poco non ci aveva azzeccato.
Il San Paolo è pieno. La politica dei prezzi stracciati ha ripagato, il mio euro e venti è stato l’investimento più riuscito della storia, gli otto euro dell’amico interista quello più sofferto. Fatto sta che il pre-partita scorre veloce tra una chiacchiera e l’altra, uno sfottò e l’altro e la voglia di finire entro novanta minuti.
Novantatrè, per la precisione.
Ed è stata una goduria immensa.
Tra il primo fischio dell’arbitro e gli ultimi tre c’è stato tutto e niente. Un palo loro; tante azioni nostre; commozione generale per aver visto finalmente due terzini in campo contemporaneamente, con grande positiva sorpresa per Koulibaly a destra e una continua conferma di Strinic a sinistra, paragonato dall’amico interista a Brehme, con una lacrimuccia nostalgica, visto il momento; applausi scroscianti per ogni palla recuperata da Gargano, con risatina sorniona quando ha indossato la fascia da capitano, giusto per andare contro a una piccola parte della curva B che gli ha regalato un ironico pensiero completamente fuori luogo e ampiamente fischiato dal resto del settore; l’attribuzione all’arbitro dei tre nomi, in sequenza, “Nu scem”, “Lota” e “Chi ‘o sape”. Non chiederò mai più il nome dell’arbitro a chi mi sta dietro. Però, è stata una partita seguita da un pubblico con alto tasso di conoscenza tecnica e tattica del calcio. Credo che il commento tecnico più bello l’abbia detto il signore accanto: parlando di un non meglio specificato giocatore nerazzurro e della sua impossibilità di saltare uno degli azzurri, ha giustamente rilevato: “Guaglio’, ‘e fatto marenn’ con Koulibaly!”. Come dargli torto. La verità, però, è che vedevamo i minuti scorrere sul tabellone e lo spettro del veglione di Carnevale allo stadio, sperando di non beccare noi la parte dello scherzo.
Ma, ad un certo punto, c’è stata la rassicurazione. Tra la napoletana, cioè io, che aveva finito le gomme scaramantiche da masticare per i tempi supplementari e i rigori, il milanista partecipe felice nei cori contro i nerazzurri, e l’interista che aveva la luce di chi stava per fare il colpaccio in silenzio, nonostante Santon in campo, vince nettamente la dolce donzella outsider e megera, con la sua profezia: “Segna Higuain all’ultimo minuto”.
Ipse dixit. Noi godemmo.
Tornando a casa, con il sorriso enorme e qualche pacca sulla spalla all’amico interista, continuo a leggere la parola “siringone” ovunque. Ecco. Noi sì che sappiamo dare sempre il giusto nome alle cose.