“Guagliù, che ve site perso”. Sta in una frase l’essenza di Napoli e dei napoletani, l’amore viscerale verso la città, verso la squadra, verso lo sport che diventa ragione di vita. Negli anni e nei secoli scrittori, attori, drammaturghi, atleti, compositori l’hanno amata e decantata. Da questa parte dell’oceano e dall’altra.
C’era, ad esempio, Miguel De Cervantes, il più grande scrittore spagnolo della storia, che così ne parlava: “Gloria d’Italia e ancor del mondo lustro, madre di nobiltade e di abbondanza, benigna nella pace e dura in guerra”.
C’era Elsa Morante, scrittrice, poetessa, che la descriveva come “la città più civile del mondo. La vera regina delle città, la più signorile, la più nobile. La sola vera metropoli italiana”. C’era il poeta Camillo Boito, che ha dato forse la descrizione più bella di un popolo, quando scriveva: “I napoletani cavano l’arte dal sole“. C’era Leo Longanesi che diceva: “Il napoletano non vi chiede l’elemosina, ve la suggerisce”.
Negli anni le contraddizioni non si sono accentuate: le emozioni fanno il pari con i dolori. E lo stesso, come sempre, accade nello sport, nel calcio, nella squadra simbolo della città.
“Tutti i calciatori dovrebbero provare cosa significa giocare nel Napoli”, diceva Omar Sivori. “A Napoli è tutta un’emozione” dice, oggi, Gonzalo Higuain. Insomma, giocare a Napoli, per tutti, è speciale. Come viverci, come visitarla: basta una volta per innamorarsi. “Tutti dicono: questo è stato il migliore del Barcellona, questo è stato il migliore del Real Madrid, questo è stato il migliore del Chelsea, questo è stato il migliore… Io sono orgoglioso di essere stato il migliore a Napoli”, raccontava Diego. E in una frase riassumeva tutto. Perché solo chi è stato a Napoli sa quanto è speciale.
Raffaele Nappi