Un legame indelebile, inscindibile, che tre stagioni all’ombra della Tour Eiffel non possono sciogliere. Un fil rouge, per restare in tema, che traccia un percorso netto da Villa Gobernador Gàlvez, Rosario, Argentina, fino alle pendici del Vesuvio.
Le parole di Ezequiel Lavezzi ai microfoni di Sky, nel post partita di Paris Saint Germain – Chelsea, certificano, ancora una volta, quell’amore scritto in tinte azzurre, fatto di cinque stagioni ricche di fiammate improvvise, spunti, sgroppate, momenti indelebili e piccole delusioni. Sempre con quel sorriso guascone stampato sulle labbra, con quella sfrontatezza che accomuna due popoli legati d un’affinità unica. Cinque anni intensi, nei quali dipingere un amore talvolta tribolato, come dimenticare la piccola fuga forte del presunto interesse del Liverpool di Benitez, ma profondo e spontaneo.
Da quella calda estate del 2007 di strada ne è stata percorsa, Lavezzi è diventato un uomo, un campione affermato, sempre all’altezza di un contesto altamente competitivo come quello creato da Nasser Al-Khelaifi a Parigi a suon di petroldollari. Ha vinto titoli da protagonista, e da protagonista è diventato vicecampione del Mondo. Un percorso iniziato in azzurro, fresco campione d’Argentina con il suo San Lorenzo, stupendo tutti, anno dopo anno, stagione dopo stagione, contribuendo a costruire ciò che è ad oggi il Napoli, portando la realtà partenopea a nuovi fasti, cancellando definitivamente l’onta del fallimento, la polvere dei campi della Serie C, una nuova certezza nel panorama europeo, ai vertici del calcio italiano.
“Se dovessi tornare in Serie A, la prima scelta sarebbe sicuramente il Napoli”. Perché quell’amore che, certo, talvolta può opprimere, stringere a sé in maniera unica, è impossibile da accantonare. Una passione che marchia a fuoco, oltre la mera retorica, reciproca, di cui l’amichevole estiva al San Paolo ha rappresentato solo l’ultimo capitolo. Le ragioni del cuore però non sempre si conciliano con quelle del business, e l’argentino è il primo ad esserne consapevole: “Non riguarda solo me, la società mi deve volere”. Chiaro, sintetico, dritto al punto, del resto Riccardo Bigon poco meno di tre settimane fa, fu sibillino: “Al di là delle sue qualità e dell’aspetto umano, in attacco siamo a posto sia per qualità che per quantità. In questo momento non è una necessità”. A gennaio non lo era, forse non lo sarà neanche a giugno, di acqua sotto i ponti ne è passata anche in riva al Golfo, progetti disegnati, che al termine della prossima stagione forse andranno modificati, ma sempre seguendo una linea societaria chiara, precisa, che lascia poco spazio a discorsi di cuore, tesa sempre con lo sguardo all’orizzonte di una programmazione che per una società come quella partenopea è essenziale.
Se il ritornello di Venditti, calcisticamente riutilizzato da Galliani in tempi non sospetti, si addica anche alla storia azzurra del Pocho sarà il mercato a dirlo, con i suoi mille intrecci, con i suoi colpi di scena mai banali. La certezza resta solo in quelle parole, sincere, come sincero è sempre stato, lo sarà sempre, quel legame, unico ed indissolubile.
Edoardo Brancaccio