“Massimo Troisi è Pulcinella senza maschera. Massimo è l’unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno”.
“Era un uomo, anzi, un eterno ragazzo, intelligente, profondo, sensibile, malinconico, dotato di quel guizzo di fantasia e d’intuizione che contraddistingue il vero talento”.
“Il Postino rappresenta quel trionfo internazionale che Troisi sperava di avere e che non ha fatto in tempo a godersi”
“Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto”.
Ben 62 anni fa, a San Giorgio a Cremano, nasceva Massimo Troisi. Un genio, un capolavoro vivente, un simbolo di Napoli e della napoletanità nel mondo. Di lui in tanti hanno parlato, e non sempre cavalcando elogi: dalla questione della lingua ai problemi della città, Troisi ha affrontato questioni delicate, accuse e critiche con la semplicità e quel senso di timidezza che lo hanno reso unico. Irripetibile.
Di lui ci resta una timidezza che si è trasformata in emozione, una determinazione rara (quando volle finire a tutti i costi Il Postino), battute storiche, sketch memorabili, entrati nella tradizione comica napoletana. Massimo è entrato nelle case di tutti i napoletani, di tutti gli italiani, grazie al suo essere schietto, incondizionato, libero.
È morto nel sonno, nella casa della sorella, ad Ostia. Erano passate solo 12 ore dalla fine delle riprese del Postino. L’attore Renato Scarpa racconta con estrema emozione quei momenti: “Ed è stata un’esperienza umana grandissima, perché lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti i costi: tutti gli dicevano “ma dai, fai il trapianto e poi lo farai”, e lui diceva “No, questo film lo voglio fare con il mio cuore”. […] E poi questo film è il suo testamento morale”.
Nel 2008 Pino Daniele ricordò Troisi dedicandogli il suo speciale cofanetto di successi, dal titolo Ricomincio da 30. Sul retro della copertina Pino scrisse. “Caro Massimo questo progetto è dedicato a te. Nu Bacio! Pino”.
Dal 4 gennaio i due si fanno compagnia in cielo. Chissà quante ne staranno combinando. Nu bacio, guagliù.
Raffaele Nappi