Il peggior profilo azzurro del 2015 e quello più affascinante in soli cinque giorni. Il Napoli è così, prendere o lasciare. Da tempo non lo si vedeva così stralunato e barcollante come a Palermo, dove ha arrancato come una vecchia Fiat Uno in una gara di rally, vivendo 90 minuti ai bordi della pista. Da tempo non lo si vedeva così brillante nei singoli e nella tenuta d’insieme, perchè in Turchia è suonata solo la sinfonia partenopea senza commettere alcun errore di spartito. Al netto di evidenti differenze tecniche tra i due avversari affrontati, viene da chiedersi quale sia il gene impazzito della squadra di Benitez.
Aspettavamo la carica a mille del Trabzonspor, uno stadio furioso ad incutere timore, l’ennesima gara di sofferenza prima di decidere tutto al San Paolo. Invece i turchi siamo stati noi. Un approccio che al Napoli è sempre mancato, una padronanza di palleggio e una lucidità che spesso hanno fatto a pugni con quell’insicurezza che dovremmo tenere fuori dai cancelli della nostra crescita. Entrare in campo e dimostrare subito le proprie intenzioni, saper gestire senza rinculare battendo i denti, punire avversari in balia degli eventi, sono tutti fattori che vanno innaffiati giorno dopo giorno. E smettiamola di screditare la compagine turca che ha comunque ben figurato nella prima parte della competizione. E’ innegabile che solo il nostro reparto d’attacco vale tutta Trebisonda, sessantunesimo minuto compreso. Ma su campi così rognosi la storia insegna che se non tiri fuori la mannaia sin dal fischio d’inizio, rischi di finire sepolto da calci e insulti.
Mai così negli ultimi anni in Europa, dove abbiamo raccolto schiaffi e briciole in campi senza arte nè parte. Viktoria Plzen, Swansea, Young Boys, solo per ricordarne alcuni. Ogni volta che ha girato i campi continentali la squadra azzurra ha sempre prima badato a non prenderle, spesso non indovinando nemmeno quest’impresa. Il respiro internazionale a cui la società auspica già da tempo passa per un atteggiamento certamente meno conservatore e più spavaldo, ad un’imposizione delle proprie idee e del proprio credo calcistico che generino rispetto anche al di fuori dei nostri confini. Da Benitez e dal suo savoir faire in ambito di Coppe, attendevamo anche questo. Purtroppo i vari precedenti nell’ultimo anno e mezzo hanno lasciato l’amaro in bocca. La prestazione convincente di ieri sera è un minuscolo tassello verso quest’inevitabile progresso. Almeno la strada è stata tracciata. C’è tanto gusto sul palato di uno stadio straniero ammutolito.
C’è uno strano caso. Quello del Napoli in formato Dr. Jekyll, un po’ troppo “professore” in terra siciliana e dall’aspetto compassato e anche visibilmente trasandato. Amante degli esperimenti, racconta la letteratura. Ebbene sì, anche troppi. Gargano è ormai la spina dorsale di questo gruppo e deve essere schierato fin quando i suoi tre polmoni non saranno interamente sgonfi. Manolo Gabbiadini sta dimostrando di essere il più pimpante degli esterni d’attacco, inserito nei rodaggi azzurri con una tempestività paurosa. Koulibaly è l’uomo su cui costruire la futura retroguardia: anche in terra turca sembra essere ormai lui ad infondere fiducia in Albiol e non il contrario. Poi c’è Rafael, che tutti continuiamo ad aspettare. Eppure sulla tabella di marcia partenopea tempo da perdere non ce n’è più. Prosciugando l’undici titolare di questi elementi, il dottor Rafa ha generato una pozione letale. E autodistruttiva. Le qualità individuali e le caratteristiche del Palermo hanno completato una debacle davvero inattesa.
Mr. Hide viene estratto proprio da tutti questi esperimenti. Falliti, ovviamente. Emerge dal buio del “Renzo Barbera” un altro Napoli. Affamato e indiavolato, stanco di essere messo alla berlina dal primo che capita, rischiando di dover dire addio ai propri sogni. E da qui proviene la cattiveria, l’ardore infernale capace di spegnere perfino il fuoco sacro di Trebisonda. Una sola squadra, due personalità travasate l’una nell’altra. Ora Stevenson ci suggerisce una pozione magica da ingoiare per tornare il Dr. Jekyll di qualche giorno fa. Ma sono troppi gli impegni roventi che ci attendono nelle prossime settimane. Non possiamo tornare ad essere piatti e spocchiosi, senza un minimo di carattere. Ho capito va, chiudete questo libro. Una volta tanto anche un alter ego vincente può essere l’happy ending
Ivan De Vita
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