Impalpabile. Piatto. Senza mordente. Illude con le sue movenze da sornione, poi finisce sempre per essere infilzato. Tra lo sgomento generale. Non ci trovo nulla di pazzo in questo mese di marzo del Napoli, anzi avrei apprezzato uno sprizzo di follia. Sarebbe stato un segno di vita. Una quaresima blanda e con troppi “fioretti” accalcati insieme, tanti da far venir meno la fame. Ecco la fame. Il graffiante felino delle notti di Coppa si trasforma in gattino che attende le fusa tra le mura del nostro campionato. Una metamorfosi ormai priva di controllo.
Torna indietro, Napoli. Torna a far brillare l’azzurro. A partire da questa comica fitta di superstizione e merchandising relativa alle magliette. Le casacche della squadra hanno sempre rappresentato, perdonate l’iperbole retorica, il mare e il cielo di questa spigolosa città. Queste magliette prima camouflage poi jeans affibbiate ai giocatori partenopei alla lunga stanno diventando un insulto. E’ come rovesciare vernice non identificata sul tappeto rosso del Festival del Cinema di Venezia. Capisco lo sprint di modernità come una sorta di lifting della nostra immagine. Ma a tutto c’è un limite. I totem possono essere accantonati per un po’, non certo mandati in esilio senza alcuna ragione. L’azzurro è un senso di appartenenza, lo si intravede negli occhi di ognuno di noi. O semplicemente in quell’emozionante sciarpata in onore di Pino Daniele la sera di gennaio contro la Juventus, l’ultima pienamente azzurra. Da allora quest’agonia buia e incomprensibile. ‘Nu Jeans e ‘Na maglietta. Basta. Riprendiamo colore.
Torniamo indietro, dicevamo. Torniamo al Napoli brillante e cattivo di inizio 2015. Leggero e maestoso sulle ali di una Supercoppa appena intascata, capace di conseguire ben sei successi consecutivi. Poi giunsero le Coppe e con esse si sono evidenziate tutte le falle di questa rosa in termini di carattere e qualità. Mai come quest’anno sempre ad un passo dal sorpasso sulla Roma e sempre atrofizzati ancor prima dello slancio. Cinque punti nelle ultime sei gare sono una miseria che non ci appartiene, perchè probabilmente stiamo bluffando. Stiamo falsando il campionato. Noi e nessun altro. Con le nostre improvvise debolezze e gli errori marchiani mai risolti. Il melodrammatico Calvarese ha probabilmente falsato l’ultimo quarto d’ora di una gara già pessima. Tutto qui. Questi tweet ancora in piena trance agonistica andrebbero risparmiati. Eviteremo di essere derisi. Si pensi, piuttosto, alle proprie responsabilità. Alle buche mai tamponate, attraverso le quali ora il vento soffia forte e rumoroso. Anche perchè sono talmente evidenti che non occorre nemmeno il primo replay per esserne certi.
Il Napoli deve ritrovare le forze e le motivazioni per afferrare un terzo posto che ha deliberatamente preso il largo. Deve smettere di aver paura. Non posso credere che questi ragazzi non volessero aprire in due l’Atalanta domenica sera sin dal primo minuto, soprattutto dopo la caterva di polemiche ricevute post-Verona. Ma questa rabbia costruttiva era assente ingiustificata. Magari si scende in campo con il timore di fare tanti sforzi inutili, giacchè alla prima ripartenza gli avversari ci puniscono. Uno scoglio psicologico che affossa capacità tecniche e atletiche, spingendo la gara su un’inerzia costante alla ricerca (nemmeno così spasmodica) di un episodio positivo. Ed è proprio in questi momenti di spaesamento che occorre atttingere dal talento.
Il turnover “scientificamente” senza alcun senso è ormai peggio di un laccio emostatico. Benitez, grazie alla sua esperienza inattaccabile, dovrebbe pur giungere alla conclusione che troppo spesso nel calcio non contano i chilometri macinati dal singolo atleta o le calorie smaltite. La rotazione è inevitabile, dato il numero di impegni. Ma se un calciatore è in forma, gioca. Punto. Con Gabbiadini tempo fa e con Mertens ora, si centellinano le presenze per non stravolgere insulse tabelle di marcia. Quelle nelle quali dovrebbe rientrare anche Hamsik, ad esempio: fuori per scelta tecnica nel freddo di Mosca, per ricaricare le pile e finire a scaldare la panchina contro l’Atalanta. Prima di una sosta, tra l’altro. C’è chi parla di cambi in corsa schizofrenici. A mio modesto parere, sonon addirittura fin troppo rigidi e scolastici. Aspettare il 70’ in ogni gara per vedere sempre le stesse sostituzioni, anche contro una asquadra in 10 e rannicchiata nella propria area piccola, è davvero un martirio per le coronarie. Il piedistallo traballa da un bel po’. Ma chi vi è sopra per lanciare sermoni, al massimo cadrà con esso. Non scenderà mai di sua spontanea volontà.
Ora il tempo delle recriminazioni è passato. La pausa calza a pennello per un lungo respiro. Spazzare via eccessive certezze ed inossidabili incertezze. Fare quadrato tutti insieme, al di là di addii già assegnati e panchine nel pieno di un valzer. Ogni traguardo si decide in questo rush finale e, calendario alla mano, il destino dovremo costruirlo noi ostacolo dopo ostacolo. L’azzurro sulle spalle e nel cuore. Per cambiare colore a questa stagione
Ivan De Vita
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Articolo modificato 27 Mar 2015 - 20:00