Orgoglio e pregiudizio. Di una città in preda ad un sogno e del suo re di Coppa da più parti schernito e denigrato. L’approdo in semifinale è il loro pugno al cielo, il loro riscatto. Scalare una vetta ed arrivare ad uno schiocco di dita dalla cima a Napoli è capitato raramente. Solo altre due volte a livello europeo in 89 anni di storia. Chi ciondolava tra le macerie e decretava un fallimento troppo prematuro dovrà quanto meno attendere al varco. E chissà che non dovrà voltare le spalle e fuggire a gambe levate per evitare di finire in pasto ai leoni azzurri.
Già, i leoni. Quelli che in tanti ritenevano in crisi depressiva, privi di qualsiasi “fame”. L’hanno ritrovata, improvvisamente. Tra una partita alla play e un asado uruguayo. Incazzati neri, probabilmente, perchè quel ritiro forzato nessuno lo aveva digerito. O comunque stanchi di un massacro mediatico che andava addirittura oltre i propri demeriti. In dieci giorni la squadra ha ritrovato piglio, voglia, cattiveria agonistica, concentrazione e finalmente un po’ di sano cinismo. Fori luminosi in un’annata annichilita dal buio pesto. Ieri il coronamento di questo mini-ciclo da gonfiare il petto, con il giusto premio di un avanzamento storico. Guai, però, ad allentare la tensione e concedersi flessioni proprio ora.
Il paesaggio è avvolgente, affascinante, pieno di colori vivaci. Ma il sentiero resta in salita. E nessuno si azzardi a credere il contrario. Non lo diciamo per creare inutili allarmismi, ma perchè abbiamo la presunzione di conoscere il nostro amato giocattolo. Il sorteggio di stamane, certamente fortunato viste le previsioni, carica il Napoli di oneri e pressioni. Ora Varsavia, agli occhi degli addettti e ai lavori e della tifoseria, non è più solo una romantica speranza. E’ un obbligo. La superiorità è netta, inutile nasconderlo, ma non apre alcuno spiraglio a facili illusioni. Tutte le gare, soprattutto a determinati livelli, vanno affrontate col coltello tra i denti. Nessuna è mai vinta in partenza.
Sembra un noioso sermone al figlio quattordicenne prima del suo esordio in discoteca. Ma in fondo conosciamo le nostre debolezze e non possiamo ricorrere a quattro ceffoni ad ogni distrazione. Però i cali di concentrazione, smarrire momentaneamente la propria identità, sono nel DNA di questa squadra. La gara di ieri sera ha mostato tutti i rischi a cui andiamo incontro se giochiamo anche solo al 60% delle nostre possibilità. Un match amorfo era preventivabile, in virtù del punteggio dell’andata, e in fin dei conti accettabile. Niente campanelli d’allarme. E non facciamone mai suonare, sia chiaro.
A partire da domenica, quando una rognosa Sampdoria verrà a farci visita senza nessuna intenzione di lasciarci le penne. Questi venti giorni saranno cruciali per entrambi i nostri obiettivi. In una settimana i blucerchiati, l’Empoli e poi il Milan al San Paolo saggeranno tutta la nostra volontà di rincorrere le posizioni nobili. La doppia sfida con il Dnipro si insinuerà poi tra due partite (Parma e Cesena) certamente più abbordabili, considerata anche la dispendiosa trasferta in Ucraina. Un programma che consente una giusta distribuzione delle energie e la focalizzazione sui traguardi. Sapersi gestire è una qualità nella quale il Napoli ancora latita parecchio. L’attenzione mentale non deve mai essere abbandonata. Tutte finali. Tutte finali. Tutte finali. Sì, è un mantra.
In questo turbinio di impegni ed emozioni occorre altresì estraniarsi dalle questioni concernenti il futuro, dalle infinite chiacchiere che possono solo destabilizzare la ritrovata quiete interna. Non so se Benitez ha già deciso di andare via. Non so se attende l’evolversi di questo finale per impugnare i risultati e sbatterli in faccia a De Laurentiis, trovando in campio un ben servito o il business plan che desidera. Non so se nel frattempo il patron abbia seriamente attuato un diritto di prelazione su Sinisa Mihajlovic, del quale è da sempre un grosso estimatore. Giusto o sbagliato? Cosa sarebbe fruttuoso per il futuro del Napoli? Il gioco del silenzio. Le vicende fuori dal campo non oltrepassino la linea bianca. Un’invasione è quanto desiderano tutti i nostri detrattori. Noi alziamo un muro. Ne riparliamo a fine maggio. Ora siamo “solo” in semifinale.
Ivan De Vita
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