E’ già passato un anno da quel maledetto pomeriggio di sabato 3 Maggio. Quel maledetto pomeriggio da cui scaturì la morte di Ciro Esposito.
Personalmente ero lì quella sera, allo stadio Olimpico, e ricordo perfettamente ogni singolo minuto dalle ore 18:00, quando dall’esterno di una sala stampa gremita, iniziavano a circolare e a correre le voci di scontri di tifosi, di morti, di feriti. Ricordo la frenesia del dover trovare quale fosse la notizia vera tra le tante ipotesi che circolavano e soprattutto i brividi sulla pelle quando all’interno dello stadio, dalla Curva Nord iniziarono a piovere petardi su petardi contro gli steward e le forze dell’ordine.
Nessuno – o meglio pochi – in sala stampa sapevano di Ciro Esposito, colpa anche di un servizio interno dell’Olimpico pessimo. Tutta la tifoseria azzurra invece sapeva che un suo fratello era stato colpito da un vile, da un folle, spacciato per tifoso, che si aggirava per Roma armato di pistola con il solo intento di voler colpire un napoletano dall’alto del suo essere romano. Il 29enne, tifoso partenopeo, fu ferito gravemente da Daniele De Santis, per poi spegnersi terribilmente dopo quasi due mesi, il 25 giugno 2014 alle 6 del mattino.
Quei momenti, quelli prima dell’inizio della partita, furono i più drammatici e tutti i 70mila pensavano che da un momento all’altro quella tensione potesse esplodere in un qualcosa di peggio. Genny la Carogna. Hamsik che parla con lui sotto la curva. I tifosi della Fiorentina, che tra un coro razzista ed un altro, iniziavano ad infastidirsi. I bambini che piangevano ed i genitori che li consolavano. La partita che inizia. Doppietta di Insigne. Tutti avevano promesso di non esultare e poi l’invasione di campo a fine incontro.
Un disastro vero e proprio fu quel giorno. Una data, il 3 maggio 2014, che sancirà a vita uno dei punti più bassi del calcio italiano. Tutto ma proprio tutto fu sbagliato. E pensare che a pochi metri dal campo c’erano le più importanti autorità che conosce questo paese, compreso un presidente del Consiglio che sembrava più che spaesato, era inerme, intrappolato dagli eventi e dalla paura.
Ad un anno di distanza, l’amaro in bocca è quasi lo stesso. Anzi, forse è anche maggiore, perchè Ciro non c’è più, ma nel calcio italiano ancora una volta non è cambiato nulla. Da quel sabato ci sono state promesse su promesse del ministro Alfano, è cambiato il presidente federale e con lui tante poltrone dei piani alti, però alla fine i problemi restano gli stessi.
Una settimana fa si è sfiorata la tragedia a Torino. In occasione di Roma-Napoli lo scandalo dello striscione contro la famiglia Esposito. I fatti di Roma – Feyenoord. Andare allo stadio ancora non è sicuro ed il calcio tricolore resta nelle mani di tifosi, che non sai mai quando potranno incazzarsi o cosa decidere.
La morte di Ciro Esposito, chiamiamolo anche il sacrificio di Ciro Esposito, non è servito a nulla, come le tante altre vittime che negli anni scorsi hanno perso la loro vita per la sola colpa di voler vedere una partita di pallone della propria squadra preferita.
A tutto questo c’è da aggiungere pure la frustrazione del non aver ancora punito i colpevoli. Il De Santis, unico imputato, è stato rinviato a giudizio nel processo che si avvierà il prossimo luglio. Nessuno però dei responsabili governativi ha pagato. Prefetto e questore nello scaricarsi responsabilità comuni usciranno illesi da quello che è stato un disastro organizzativo.
Che resta quindi di quel 3 maggio? La consapevolezza di vivere in un paese troppo sbagliato, che non tutela nemmeno l’intrattenimento. Resta l’insegnamento della signora Antonella, la mamma di Ciro, che quotidianamente, giorno dopo giorno, porta avanti la sua battaglia, forte della sua determinazione e ferita del suo dolore. Dodici mesi dopo, è questa, purtroppo, l’unica nota positiva in quella che rimane una maledetta notte da dimenticare…
G. Sgambati
Articolo modificato 3 Mag 2015 - 12:58