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Riscatto e carattere, il Napoli trascinato da chi ha la forza di osare e la voglia di trionfare

Questione di carattere. A volte c’è, a volte non c’è, altre volte si palesa oppure latita. Il carattere è un valore aggiunto quando dobbiamo compiere una scelta, quando c’è da battagliare, quando ci si ribella ai soprusi della vita, quando il gioco si fa duro ed i duri iniziano a giocare. Abbiamo spesso parlato degli oneri e gli onori di indossare la maglia azzurra e della mancanza in casa Napoli di un leader carismatico dopo l’addio di Pepe Reina. Non vogliamo essere i soliti romantici e nostalgici, ma ogni volta che il ricordo dell’estremo difensore si rinnova, è un turbinio di emozioni: dalle corse per esultare alla grinta pre partita, fino all’assunzione di colpe dopo una sconfitta o le sempre splendide parole per Napoli ed i napoletani, anche dopo esser approdato al Bayern Monaco. Il Bayern. Non pizza e fichi, insomma.

Difficile colmare il vuoto da lui lasciato ma non impossibile, ancor più quando in squadra si hanno tanti campioni ma, paradossalmente, attori taciturni e solitari. Da Hamsik ad Higuain passando per Callejon, Mertens e Gabbiadini, i protagonisti partenopei lasciano parlare solo il campo, senza farsi distrarre dalle luci della ribalta e dai facili umori contrastanti della piazza all’ombra del Vesuvio. Scelta forse giusta e condivisibile ma, la carica del leader spesso manca e questo deficit si palesa proprio nelle situazioni clue.

E’ il primo minuto di Napoli-Milan, 3 maggio 2015, stadio “San Paolo”. Anzi, in realtà il 1′ deve ancora scoccare: è il 43” quando l’arbitro Mazzoleni espelle De Sciglio ed indica il dischetto. Facile, troppo facile. Ed al Napoli non piace questa scioltezza, il Napoli come sempre, ama complicarsi la vita. Dagli undici metri si presenta Higuain, il Pipita, il re dell’area di rigore. La grafica in tv è senza pietà: tre dischetti verdi, due rossi. Vabbè. Tutto pronto, pallone sistemato ma c’è d attendere. L’argentino si distanzia, si aggiusta i calzettoni, girovaga. Poi sorride, poi respira. Tre, due, uno. Diego Lopez para. Tutto molto prevedibile. Inizi a pensare che è proprio il carattere quello che manca e che forse, Icardi (che più che carattere ha la sacrosanta cazzimma ndr), non avrebbe sbagliato in un big match di quella portata. Ma capita, l’importante è rialzarsi e si hanno 89′ per farlo.

Pazienti ed aspetti. Si crea tanto, tantissimo, forse troppo. E come sempre non si sblocca il risultato. Il piglio deciso c’è, ma manca ancora qualcosa. Anche in mezzo al campo, dove il reparto che dovrebbe filtrare, impostare e ragionare non c’è a pieno regime. Anche qui manca carattere, ma forse i problemi sono da ricercare altrove, nella tattica e nell’ambientamento. E da chi dovrebbe arrivare la scossa? Solitamente dal capitano. Seriamente taciturno all’interno, vistoso all’esterno. Eppure è proprio Marek Hamsik che al 70′ pennella la giusta traiettoria che beffa finalmente un ottimo Diego Lopez, sbloccando il risultato e lasciando esplodere di gioia Fuorigrotta. E non è finita qui: quattro giri di lancette dopo, sarà Higuain a riscattarsi dall’errore iniziale siglando il raddoppio ed il neo entrato Gabbiadini, vero Golden boy azzurro a siglare il tris definitivo. Tutto in 6′, così come la rincorsa alla Champions.

Prima di concludere però, è doveroso un legittimo passo indietro. E’ il 55′ e, nonostante il forcing azzurro, il risultato non si sblocca. Ecco la mossa della disperazione: fuori il peggiore in campo, un impalpabile Jorginho e dentro l’uomo dalle mille risorse, Manolo Gabbiadini. La gara cambia, è vero con l’uomo in più, rompendo finalmente il noioso ed incredibile equilibrio imperituro tra le due squadre. Insomma, l’ha vinta Rafa, insieme ad Higuain, Hamsik, Gabbiadini ed anche ad Andujar che, tra il primo ed il secondo tempo ha alzato la voce gridando ai compagni: “Dobbiamo vincere, è la gara della svolta”. Ed aveva proprio ragione.

Alessia Bartiromo
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Articolo modificato 4 Mag 2015 - 17:33

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