Poteva essere la gara di una rinascita, nel finale, a rincorrere un obiettivo ancora tangibile. L’epilogo di Juventus-Napoli sancisce però l’ennesima disfatta, in una gara decisiva, contro una Juventus che nonostante il clima di festa, sebbene infarcita di seconde linee a rimpinguare una schiera di titolari, ha mostrato alla truppa di Rafa Benitez cosa rappresenta la reale voglia di vincere, il furore agonistico, l’arma primaria con la quale scrivere grandi imprese e che troppe volte è venuta a mancare in questa stagione.
Minime le luci – Grinta e piglio mostrato da pochi azzurri, anche quest’oggi jeansati, in pochi a salvare la faccia in una disfatta senza possibili repliche: Mertens e David Lopez su tutti, gli unici a concedere uno spiraglio di luce in un cupo pomeriggio primaverile, ci provano anche Maggio, Gabbiadini e Hamsik, poi l’abisso. Il resto del gruppo partenopeo ha abbandonato con largo anticipo una nave prossima al naufragio, ma ancora in grado di risalire la china e rialzare la testa. L’indolenza, oltre che a dei palesi limiti tecnici, ha fatto da padrone nella sfida dello Juventus Stadium.
Ombre opprimenti – Una sconfitta che parte dalla mediana, dove David Lopez è riuscito ad emergere solo per quanto concesso in fase propositiva, il duo in mediana è stato per lunghissimi tratti di gara completamente surclassato dai dirimpettai in bianconero. Un vero e proprio miraggio per lo spagnolo e per un Gargano spaesato, impalpabile, mai in grado di imprimere sulla gara le sue doti migliori, passo e garra, al cospetto di Marchisio, Pogba, Sturaro e Pereyra. Dilaniati da un centrocampo nettamente superiore per dinamicità, fisico e palleggio, costretti a rincorrere rimanendo troppo presto a debito d’ossigeno al cospetto di un avversario che ha attestato una superiorità disarmante giocando spesso in totale surplace.
Immobilità e follia – Ad eccezione di un Christian Maggio che ha provato, fino alla fine, a salvare la faccia. La difesa ha palesato a pieno limiti, difetti, e una condizione psicofisica per nulla all’altezza di simili sfide. Non c’è Tevez, a sostituirlo è il guizzante classe ’96 Coman, in grado di mettere a nudo difficoltà e carenze di un Albiol quasi mai in partita, l’apoteosi incastonata nel 2-1 juventino, dove a trovar gloria è Sturaro, un centrocampista che non ha proprio l’inserimento nel dna. Notte fonda anche per Faouzi Ghoulam, la dormita su Pereyra in occasione dell’1-0 avversario è solo il più eclatante errore in una gara all’insegna dell’imprecisione e della confusione più totale, neanche gamba e passo salvano il quadro di una prestazione totalmente insufficiente. Male Britos, in grado di riprendersi dopo il grave errore sul vantaggio juventino, dove si stacca concedendo una prateria a rimorchio del centrocampista argentino ex Udinese. Risale la china con il fisico e con un senso della posizione discreto, per poi crollare in preda alla follia in occasione della testata con cui atterra Morata, guadagna un rosso e chiude l’incontro.
Frecce spuntate – Polveri bagnate, ingolfate, come con la Dnipro, come con la Lazio in Coppa Italia. Pessima la gara Insigne, sporadiche le intuizioni, tanti gli errori, sempre preda dei diretti avversari, mai in grado di regalare quegli spunti che ha nelle corde, che spesso sente scorrere nelle vene ma che allo Stadium non hanno mostrato traccia. Impalpabile anche in fase di non possesso, si assume la responsabilità dal dischetto facendosi ipnotizzare da un Buffon oggi impeccabile. Avulso dal gioco, il numero 24 azzurro, come del resto Callejon. Utile nel supporto a Maggio in fase di ripiegamento ma completamente scarico in avanti, svuotato di quell’essenza vera, di quella marcia in più che tante pagine importanti, d’altissimo spessore, ha caratterizzato l’esperienza partenopea del mumero 7 di Motril. Ad affondare, nel baratro della festa juventina, su tutti, è però l’uomo più atteso. Il calciatore chiamato alla svolta in 180 minuti che valevano un’intera stagione. Gonzalo Higuain è il peggiore in campo della sfida di stasera.
Indolenza e apatia – Solo l’ombra del campione argentino si è intravisto sul prato dei campioni d’Italia, 45 minuti irritanti, indolenti, sciorinati dalla controfigura del centravanti della Seleccìon albiceleste. Annega minuto dopo minuto nella morsa dei centrali di Allegri, flemmatico, appesantito, sfociando persino in errori grossolani, non degni di un attaccante del calibro dell’ex Real Madrid. Avrebbe dovuto trascinare i compagni all’impresa, Benitez lo richiama dopo 45′ di gara per Gabbiadini. L’epilogo più amaro di una sconfitta bruciante, che segna – salvo miracoli insperati – una stagione che lascia dietro di sé solo le macerie del rimpianto, fortissimo, incancellabile.
Edoardo Brancaccio