“Ringrazio Napoli e i napoletani, la mia avventura finisce qui. Ma voglio lasciare la squadra in Champions”. In un misto tra condottiero dell’Inquisizione Spagnola e aspirante reginetta di Miss Italia, è arrivato senza troppe sorprese (nessuna per essere precisi) il commiato di Rafa Benitez all’ambiente partenopeo. In un clima di serenità e distensione che stride non poco con le pressioni derivanti dalla gara di domenica sera. Perchè quel risultato stravolgerà piani, concezioni e obiezioni. E se il suo obiettivo è ricongiungerci con l’Europa dei grandi, i saluti potevano anche essere rimandati.
Una conferenza, quella di ieri a Castel Volturno, sterile, priva di slanci e inspiegabilmente anacronistica. Tante parole accorate per illustrare ai tifosi e alla stampa come il rapporto tra il tecnico e De Laurentiis non si sia mai incrinato, celando dietro motivi familiari un’evidente divergenza di vedute su progetto e ambizioni. Il teatrino discretamente melenso organizzato dalla società aveva uno scopo principale: evidenziare e confermare chi si mantiene saldamente al timone del Napoli. Il presidente intensifca il suo profilo despotico, impartendo una sonora mortificazione ad un’intera categoria di professionisti: perchè non esistono solo i giornalisti-juventini. Padre padrone all’interno dell’organigramma societario, nessuno ha il diritto di contraddirlo o insinuare dubbi nella sua gestione. Insomma niente di nuovo da quando Pierpaolo Marino lasciò la barca azzurra perchè stufo di continuare a fare il mozzo.
Se un allenatore non sposa le sue teorie di crescita condizionata, se un direttore sportivo ha adocchiato altri lidi, DeLa non batte ciglio. Si arrocca le responsabilità sulle spalle e con la sua dialettica rivoluzionaria (solo quella, a dire il vero) incoraggia con una pacca sulla spalla chi è in sala d’attesa preoccupato per le condizioni del suo amato condotto in terapia intensiva. E le parole chiave sono sempre le stesse: fatturato, ranking Uefa, ristrutturazione stadio e scugnizzeria (diventata cantera causa processo di internazionalizzazione). Chiacchiere ormai risapute, giunte all’anniversario dei primi 10 anni. Il calcio italiano certamente non aiuta le idee innovative, ma anche le nenie faticano a rispolverare l’entusiasmo dei tifosi.
Una conferenza inopportuna, come già detto, nella quale però rintracciamo una motivazione lodevole. Salutare l’uomo Benitez, poichè la sua capacità di integrarsi con la città, comprenderne le dinamiche ed estrarne l’essenza meritava un tributo a prescindere dai successi conseguiti. Lo “spalla a spalla” dovrebbe essere lo slogan da affiggere davanti ai cancelli di Castel Volturno. In una piazza così umorale, con tifosi perennemente in fermento e media sempre alle calcagna, vincere è quasi un’utopia. Il suo invito può e deve fungere da monito. Ci lascia in dote signorilità, compostezza, un’incredibile cultura non soltanto calcistica e l’abilità di diffonderla anche con un semplice aneddoto durante una conferenza stampa. Sincero l’attaccamento per Napoli, città amata e difesa molto spesso, anche più di quanto abbia fatto la società stessa. Ed in quest’ottica, il millantato addio assecondando la volontà della moglie è una contraddizione in termini. Come se Madrid fosse un luogo più vivibile dove trasferire la propria famiglia. Ma Don Rafè non credo lo pensasse. A volte il bavaglio della verità eviterebbe di macchiarsi incautamente come un bambino.
Il tecnico spagnolo saluta per rispondere ad una chiamata irrinunciabile, un treno che non può attendere ancora. E nessuno, parliamoci chiaro, gliene fa una colpa. Anzi, probabilmente, senza quella telefonata in lingua iberica, il pensierino di sfidare ancora l’impossibile alle pendici del Vesuvio era nato. Perchè di sfida si sarebbe trattato. Con il presidente a fare orecchie da mercante davanti ad ogni sua richiesta, entrando in conflitto con il suo credo. E la sensazione opprimente di non riuscire ad andare oltre con il materiale a disposizione
Il calcio italiano resta indigesto. E’ questo il suo rimpianto. Mai abituato alla sua trama di irregolarità e sudditanze, mai adattato agli spigoli di un campionato con tante insidie. Ci si attendeva di più dalla sua esperienza, inutile negarlo. Tante scelte hanno fatto discutere, tanti errori lapalissiani mai tamponati. Soprattutto la sua latitanza caratteriale nei momenti cruciali, dove spesso ha lasciato trasparire una mancanza di personalità all’interno dello spogliatoio. Siamo stati gli unici a strappare qualche trofeo alla Juventus negli ultimi due anni, non va dimenticato. Così com’è vero che siamo rientrati nell’élite continentale dopo 26 anni. Ma anche tante tappe fallite e cocenti umiliazioni. Ieri Benitez ha rimarcato di avere a disposizione 14 calciatori affidabili al suo arrivo, divenuti 18-19 in corso d’opera. Eppure negli anni precedenti la Champions era stata raggiunta dall’ingresso principale, e per ben due volte. Qualcosa non quadra. In fondo, anche semplicemente ostinarsi a rammentare i vari inutili record conseguiti sottintende una velata frustrazione per le aspettative disattese. Solo la sua Madrid sarà in grando di leccare queste ferite all’orgoglio. Il nostro, quello in campo e non davanti ai microfoni, dovremo invece consegnarlo al suo successore.
C’è un modo, però, per non tramutare il suo ultimo saluto in “estremo”. Perchè un secondo fallimento in chiave Champions potrebbe rivelarsi una mazzata sul nostro avvenire. In nome dell’amore viscerale che questa piazza prova per la squadra, un amore che ha ammaliato lo stesso Rafa, lo spagnolo deve dare fondo ad ogni espediente per riassemblare il gruppo e regalarci una vittoria fondamentale. L’ultima. Le parole possono essere gratificanti ma saranno spazzate via dal tempo. Sono le vittorie a restare indelebili. Sono le vittorie il vero riscatto di questa terra.
Ivan De Vita
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Articolo modificato 29 Mag 2015 - 21:44