Da Bilbao al “San Paolo” passando per Torino, Kiev e Verona: tutte le problematiche di un Napoli mai evoluto

E’ il 19 agosto 2014 quando la stagione del Napoli ha inizio ufficialmente, con un preliminare di Champions League che fa storcere il naso a molti. Nonostante il caldo, i tifosi in vacanza ed un mercato che non ha pienamente convinto, il “San Paolo” è gremito, pronto a trascinare Higuain e soci alla vittoria contro l’Atletico Bilbao, avversaria che l’urna di Nyon ha messo di fronte ai partenopei per il primo scoglio dell’anno. A Fuorigrotta però sarà soltanto 1-1, un risultato più che deludente tra le mura amiche, persino inseguendo con il solito Pipita di inizio stagione che toglie le castagne sul fuoco ma solo a metà. Otto giorni dopo, il match di ritorno: ci si aspettava una squadra grintosa, pronta ad espugnare il bunker del “San Mamés” ma bisogna fare i conti con la dura realtà del calcio, dove spesso a prevalere sono le motivazioni e non i valori tecnici in campo.

Ancora una rimonta, ancora errori difensivi, ancora una squadra a tratti spocchiosa, seduta sulla frase poco furba del proprio allenatore che così tuona: “Dovessimo uscire dalla Champions non sarebbe un dramma”. Invece lo è stato perché il mercato fino a gennaio non si è smosso, perché Higuain ne ha fatto un fardello che puntualmente gli si ripresentava a mmò di spada di Damocle e soprattutto, ha minato la solidità e l’autostima di un gruppo buono, solido ma con troppe carenze in zone nevralgiche del campo. Si volta pagina ed inizia il campionato. Si vince a Genova, si perde e malissimo al “San Paolo” contro il Chievo. Altra prestazione che lascia perplessi e che segnerà ancora una volta la stagione del Napoli e quella del Pipita. E’ il 27′ ed il risultato non si sblocca ma l’arbitro Giacomelli decreta il rigore per gli azzurri. Sul dischetto si porta proprio il bomber argentino che sceglie una traiettoria troppo prevedibile per Bardi, il quale incredibilmente para. Ci penserà poi Maxi Lopez a condannare di misura i locali, ridimensionando ancora i progetti del club all’ombra del Vesuvio.

La lista dei passi falsi in tutte le competizioni sarebbe davvero lunga e quindi tocca fare un salto temporale. Ad Udine, Milano e Torino il Napoli è incredibilmente crollato, così come in Svizzera contro lo Young Boys. Le cause sono quasi sempre le stesse: approcci molli, la mancanza di un ragionatore a centrocampo, gli svarioni della difesa e del portiere Rafael, poi bocciato. Manca grinta, carattere, cinismo, lo stesso che invece ha fatto da padrone nella notte della Supercoppa di Doha dove si è visto un Napoli perfetto e mai domo. Lo stesso feedback si è registrato anche in Europa League contro il Wolfsburg, per molti la gara perfetta, contro i favoriti alla vittoria finale per poi crollare a Kiev contro la Dnipro.

Tornando al campionato, sono state numerose, forse immense, le occasioni per conquistare la Champions e chiudere i conti ma è sempre mancato quel passettino in più per il salto di qualità. Prima una condizione fisica non al top dei fuoriclasse, poi gli infortuni, ancora la sfortuna ed anche il merito delle avversarie che hanno inteso al meglio il gioco dei partenopei e dei loro punti deboli hanno fatto sì che si incorresse sempre nei soliti tranelli, senza trovarne una risoluzione. Il mercato di gennaio ha aiutato e non poco con Strinic e Gabbiadini ma i crolli psicologici e fattivi sono sempre stati dietro l’angolo. Finale d’Europa League sfumata, finale di Coppa Italia sfumata, lasciando strascichi palpabili e davvero troppo lunghi. Quando ci si aspetta un impeto di orgoglio emerge la debolezza di chi non sopporta le pressioni e ci mette settimane per risalire la china, magari forzato da un ritiro o da una sfuriata.

Si arriva così alla storia attuale, alla speranza della Champions legata agli altri perché anche a Torino contro una Juventus sulla carta distratta e più che appagata, si è caduti. Al cospetto della Lazio e di più di 50.000 spettatori sofferenti si poteva vincere. Si doveva vincere. Ed invece, si è tornati inesorabilmente indietro con i soliti errori difensivi, con la mancanza di un centrocampista che sappia impostare, con chi dovrebbe prendersi l’onere e l’onore di ricche responsabilità che viene a mancare, con la paura di sbagliare e la certezza che quando si è in difficoltà non si reagisce ma si va in palla. Tantissime volte è stato chiesto quale fosse il vero Napoli, se quello di Doha e di Wolfsburg o quello delle trasferte contro le piccole, di tutte le cadute o delle imprese da sogno. L’idea resta la stessa anche se forse cambiano le percentuali: il vero Napoli avrebbe potuto fare molto di più ma non vi è riuscito e le colpe sono di tutti.

Ora c’è da rifondare, da cambiare, da rinnovare, da osare. Ben lo sa De Laurentiis, che si prende un po’ di tempo prima delle scelte definitive. Perché un addio è sempre difficile da metabolizzare, così come un nuovo inizio. Un po’ meno quando è forzato e necessario e soprattutto un atto dovuto per scrivere altre pagine della propria storia, sicuramente ancor più positive e soddisfacenti. Per aspera ad astra, ora tocca di nuovo aspettare. E cambiare.

Alessia Bartiromo
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