Ci avevamo creduto, sperato, fino all’ultimo respiro. Noi tutti, ambiente azzurro, dalla stampa ai tifosi, nonostante i divari e le guerre populiste e mediatiche. Tutti, tranne quella fetta che avrebbe dovuto in assoluto: la Ssc Napoli. E così, un sogno infranto pesa come un macigno sullo stomaco, mentre Rafa saluta col sorriso pronto a volare a Madrid e il patron starà già pensando al prossimo Cinepanettone. Pronti a rompere le righe e godersi le vacanze, perché dei fischi o degli applausi a qualcuno poco sarà importato. Ci avevamo creduto – dicevamo – in un San Paolo gremito e assordante, illuso e deluso nell’ultima notte per la Champions.
LE AMARE ORIGINI – E’ amaro il risveglio, ma non sarà di certo la sfida di ieri con la Lazio a condannare la stagione azzurra e a catalogarla come un illecito fallimento. Non doveva andar così, ieri, come una settimana, un mese e un’estate fa. Solo allora il copione prendeva forma, tra una parola e un falsa speranza, incuranti di quanta illusione avrebbe potuto riservare ad una piazza che – forse sì – non è pronta e matura per vincere. Una piazza viscerale, forse anche troppo per non lasciarsi ingannare. “Lotteremo per lo scudetto”, ma di quel tricolore lì resteranno ancora solo briciole di quel lontano ’90 e dei piedi d’oro del grande Diego. Una notte di passione, una stagione di passione, sorta con l’addio di Reina e l’illusione di poter andare lontano con un giovane brasiliano. Solo il primo di una lunga catena di errori che lasciano il fiato strozzarsi in gola. Il sogno Champions inseguito a Bilbao, montato e distrutto in poco più di una settimana, da quegli uomini che quasi anticipavano l’andamento della stagione che sarebbe arrivata. E ancora discordanza tra quelle parole tanto belle e i fatti disastrosi.
TITOLI DI CODA – Ma Napoli è così, vede in Koulibaly i propositi per fidarsi, in Gargano quella grinta esaltante, ma che non basta di certo per lottare per i vertici, in Britos un leader del reparto arretrato e in De Guzman il rinforzo decisivo per il salto di qualità. Napoli è così, si lascia cullare dalla speranza di poter quantomeno portare a casa le Coppe, quelle che al signor Rafa Benitez non sono mai mancate. Eppure, quella di Doha rimarrà tra gli almanacchi della stagione passata, se non fosse per il fatto che è arrivata in netto ritardo. L’ambizione di fare il bis con la coppa Italia, lasciata senza ritegno nelle mani di una Lazio prepotente e concreta. Eppure quel gol del Pipita contro l’Inter allo scadere lasciava presagire che il destino potesse stare dalla nostra parte, ma quello non è bastato più. Gonzalo avrebbe dovuto assecondarlo con i fatti – o con i piedi, per meglio dire – come il resto dei suoi compagni di squadra. Avrebbero dovuto farlo a Parma, Empoli, Udine, Sassuolo, Palermo, Verona, Torino e non ultimo a Kiev. Perché la battaglia di Wolfsburg rimarrà sicuramente memorabile per i malinconici, ma vana dopo l’immaturità e lo spreco della successiva trasferta contro gli ucraini. Perché mai come allora il profumo di gloria aveva riempito le case dei napoletani, quegli stessi che ancora una volta sono stati illusi e delusi nell’ultima notte azzurra: perché il cuore si è fermato, il sangue si e gelato, la voce ha tremato. Traditi, come una moglie disonesta o un marito scapestrato. Ma in fondo c’era da aspettarlo, quelle scene d’Agosto erano solo l’anteprima di un film proposto e riproposto fino allo stremo.
Francesca Di Vito
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