“Spero di resistere, quando sarò altrove, alla tentazione di rilasciare interviste e commenti sul Napoli. E spero, di conseguenza, che il mio silenzio non venga confuso con indifferenza, ma solo abbinato al rispetto che sempre avrò per questa squadra e per le persone che vi lavorano e che vi lavoreranno”. Dolce tentazione, quella di rivendicare con orgoglio i risultati ottenuti in sei anni di lavoro. La discrezione ostentata da Riccardo Bigon al momento del congedo dalla piazza azzurra ha avuto, va detto, davvero vita breve.
Troppo più forte la decisione con cui ribadire gli aspetti più positivi dell’esperienza vissuta in riva al Golfo. Ecco l’opportunità, sulle colonne de La Gazzetta dello Sport, di esprimere il proprio punto di vista, le note al merito a margine di sei intense stagioni.
Risultati. “Quando sono arrivato il Napoli era 141° nel ranking Uefa, ora è al 20° posto, il valore della rosa è salito da 100 a 250 milioni, 6 qualificazioni di fila in Europa e titoli: merito di tutti, sia chiaro”. Una cavalcata intrapresa nell’ottobre del 2009, la base lasciata da Pierpaolo Marino da valorizzare, impreziosire, stravolgendo la classifica – Napoli terzultimo con sette punti in sette incontri – e dando inizio ad un percorso che ha riportato il club partenopeo ai vertici del calcio italiano, presenza costante in quello continentale.
Intuizioni ed errori. “Nel 2010 cercai di prendere Bale quando faceva panchina al Tottenham. Cavani preso per 17 milioni e rivenduto a 62 è stata una bella operazione. Anche Fernandez pagato 2 e venduto a 10. Vargas? Colpa mia. È arrivato in Italia nel momento sbagliato, quando non c’erano le condizioni per dare il meglio. E la falsa partenza ha condizionato anche i giudizi: lo pagai 11 milioni, ora ne vale molti di più”. Doveroso tirare le somme di un lavoro perseguito sempre sotto l’egida del presidente Aurelio De Laurentiis. Cavani il fiore all’occhiello, corredato da importanti operazioni in entrata e in uscita. Vargas l’errore più bruciante, ma anche altre battute d’arresto – da Inler a Britos, passando dagli acquisti a parametro zero di Santana e Donadel, fino alla costruzione poco omogenea della rosa nelle ultime due annate – che non portano in dote giudizi edificanti.
Tra metodo e applicazione. “Il mio metodo? Condividere sempre le scelte col mio staff e creare le migliori condizioni possibili per allenatore e calciatori. A Napoli con i miei collaboratori abbiamo creato un software che dà in pochissimo tempo i profili adatti alle necessità del tecnico. Le faccio un esempio. Londra, prima riunione tecnica con Benitez: ci diede delle indicazioni sul tipo di giocatore che cercava e il pomeriggio stesso puntammo su Mertens e Callejon”. Professionalità e aplomb impeccabile, grande cultura del lavoro, resa non sempre ineccepibile come nei due acquisti sopracitati. La summa dell’esperienza di Bigon in azzurro ha proprio l’impronta fortissima di quei vorrei ma non posso, del rischio troppo di rado assunto in sede di mercato, che ha sempre disegnato Bigon come un vaso di coccio tra i vasi di ferro, fagocitato dalla personalità del patron partenopeo. Pregi e difetti di un capitolo ormai chiuso, in maniera definitiva, tra risultati e soddisfazioni insindacabili, alternati a qualche rimpianto a fare da sfondo.
Edoardo Brancaccio