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Una società con il freno a mano tirato…

Profilo più basso, proclami in soffitta. Un estate diversa, quella 2015, all’insegna della volontà di ricostruire, tassello dopo tassello, lasciando alle spalle un biennio vincente ma sanguinoso.

Tutto cambi perché nulla cambi”. La citazione di Tomasi di Lampedusa, su sfondo e argomenti indubbiamente più leggeri, è lo spot perfetto per questa sessione di mercato estiva ormai conclusa. Una sensazione di deja-vu impossibile da scacciare, così come l’amaro in bocca di una piazza che ha visto foraggiare, senza freni, un’insoddisfazione che ormai pare consolidata in riva al Golfo.

La querelle sull’acquisto di Roberto Soriano, il mancato deposito di un contratto troppo difficile da chiudere tra infiniti tempi tecnici e cavilli burocratici. Il paradossale fallimento della trattativa per un calciatore seguito da mesi, monitorato, scrutato, corteggiato oltre misura – e quindi tra le priorità – rappresenta solo l’ennesimo capitolo di un copione che negli ultimi anni ha assunto sembianze fin troppo prevedibili. La gestione ormai ultra decennale del presidente Aurelio De Laurentiis non può che essere definita virtuosa, la galoppata trascinante dalle ceneri della società di Salvatore Naldi, il ritorno nell’elite del calcio italiano, presenza consolidata in quello europeo, conti in ordine, campioni portati all’ombra del Vesuvio, tre trofei.

Dati positivi che l’onestà intellettuale impone di rimarcare, evidenziare a fondo. Ma che non possono oscurare i limiti dell’attuale gestione societaria. Difetti endemici che si ripropongono, con sfaccettature diverse, con una cadenza ormai ciclica, perfetta. Il Napoli ostaggio di una linea oltranzista, di un unico modus operandiUn uomo solo al comando, il patron azzurro, coadiuvato da collaboratori d’azione, prima Bigon ora Cristiano Giuntoli, ma sempre legati alla volontà, all’unica vision del deus ex machina azzurro. Proprio Giuntoli, al quale è davvero difficile fare appunti in un mercato che l’ha visto in prima linea fin dal suo approdo a Napoli. Nessuna linea alternativa considerabile, nessun uomo di calcio ai vertici con il quale creare un raffronto e cercare di aggirare eventuali problematiche, tracciare un piano B.

Il mancato acquisto dell’incursore doriano cresciuto nel vivaio del Bayern Monaco, a cui aggiungere la grottesca vicenda Astori, rappresenta un simbolo, scavando molto più a fondo dell’effettiva perdita da un punto di vista tecnico e il tragicomico esito della trattativa. Il simbolo dell’ennesima campagna acquisti da incompiuta. Come, per motivi diversi, nella sessione al risparmio dell’ultima annata targata Walter Mazzarri, quella del secondo posto, quella post cessione del Pocho Lavezzi. L’unica annata in cui il Napoli ha realmente giostrato alle spalle della battistrada, un campionato che, con un pizzico di rischio d’impresa, avrebbe, perché no, potuto presentare un finale a sorpresa. Come, sempre scrutando un altro punto di vista, nella scorsa campagna di rafforzamento estiva, ostaggio in attesa di un preliminare perso poi in maniera inopinata. Un immobilismo costato due mancati accessi Champions, milioni di introiti ed un ovvio ridimensionamento di pretese ed aspettative, con un addio – non senza rancori – all’internazionalizzazione di Rafa Benitez.

Il mercato chiude i battenti dopo un luglio positivo ed un agosto difficile da metabolizzare, l’ennesima occasione persa. La società aveva l’obbligo di cingersi al fianco di Maurizio Sarri, garantire al nuovo tecnico non solo la fiducia, mai lesinata dai vertici societari, ma anche tutti gli uomini necessari per permettergli di gestire, al massimo, un’imponente stagione su tre fronti, la prima della sua carriera. Un lavoro svolto a metà, lasciando Zuniga in rosa, senza ancora conoscere il futuro di De Guzman. Un’estate che si avvia ai titoli di coda lasciando sempre impresso il sentore opprimente del vorrei ma non posso. Un progetto in progress, ma che appare fermo al palo, con il freno a mano tirato, mentre le avversarie corrono.

Edoardo Brancaccio

 

 

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Scritto da
redazione