Una gara brillante, novantasette minuti intensi, di puro agonismo. Napoli-Fiorentina, il vero big match della giornata appena passata agli archivi, con buona pace degli assonnati spettatori di un monotematico, salvo alcuni scossoni, derby d’Italia. Uno spot per il bel calcio, lustro e riflettori sulle due, ad oggi, più belle realtà della Serie A per gioco espresso. Maurizio Sarri e Paulo Sousa, coadiuvati dagli ottimi interpreti a disposizione, registi di uno spettacolo che merita un plauso sentito, perché contese simili fanno bene ad un movimento, talvolta in maniera eccessiva e fuori luogo, troppo spesso vituperato. L’essenza stessa calcio moderno, convogliando in poco più di un’ora e mezza gli archetipi di tutti i maggiori campionati europei.
Intensità british. Ritmi palpitanti senza soluzione di continuità. Passo e agonismo come costante, un filo conduttore ad accompagnare il pomeriggio dei 50.000 di Fuorigrotta. Una sfida vissuta sul filo di un risultato sempre in discussione, con nessuno degli interpreti in campo intenzionato a mollare una zolla al cospetto del diretto avversario. Ritmi raccontati dai numeri, dai chilometri macinati dalle due squadre: 104 dagli azzurri, 106 dai viola. Galloni portati a profusione da ogni elemento chiamato a dosare ogni stilla di sudore per l’agognato risultato: Marek Hamsik è il primo dei partenopei, con 11,916 km solcati dispensando ardore agonistico e sapienza in fase offensiva. Matias Vecino spicca tra i gigliati, con 12,809 km a disegnare la perenne lotta con Allan; 10,371 per il tuttocampista ex Udinese, che nella particolare graduatoria segue Jose Callejon – 10.388 – ed un preziosissimo Jorginho, addirittura 11,078 per l’italo-brasiliano. Degne di nota in tal senso le statistiche di Badelj e Kalinic: 10,981 e 10,836 km per i due calciatori agli ordini di Sousa. Numeri sbalorditivi che rendono l’idea di cosa abbia rappresentato la sfida del San Paolo, una battaglia – nel più ludico senso del termine – che ha reso onore a vincitori e vinti. Entrambi, Sarri e Paulo Sousa, portatori di un’idea di calcio moderna, dinamica, che si abbevera alla fonte di un forsennato pressing sul portatore di palla, su un incedere che diviene cadenzato solo in rarissime occasioni dell’incontro, una peculiarità della Premier League, del calcio britannico tutto importata alle pendici del Vesuvio.
Impronta ispanica. Fattori che si intersecano con un palleggio arioso, ragionato. Tiki-taka? Non proprio, ma un’ossessione per il fraseggio come mission per trovare i corridoi più propizi. Un possesso palla ben distribuito: 24’07 minuti di marca azzurra, 25’36 per la Fiorentina. Fronte ribaltato però quando il pallone va gestito nella metà campo avversaria, per scoccare il fendente più incline a sgretolare gli equilibri avversari: è il gruppo di Sarri a primeggiare con 13’13 minuti di possesso palla a ridosso dell’area viola, “solo” 9’46 per i viola più propensi alla gestione dello scarico nella propria metà campo: per ben 15’05 minuti. Una trama che a tratti ha fatto vacillare le sicurezze dei partenopei, in grado da par loro di tenere botta senza mai snaturare l’idea del proprio tecnico. Una costante ricerca della giocata in verticale, uno/due tocchi sviscerando la superiorità sulle catene laterali. Maggiori gli affanni nei primi 45′ di gioco, molto meglio nella seconda frazione di gara, encomiabile l’apporto di Hamsik ed Allan, fosforo irrinunciabile per la manovra azzurra. Di altrettanto spessore la prestazione dei palleggiatori viola, con Borja Valero a ergersi, per qualità indubbie, su tutti i compagni. Metronomo – con velleità offensive – instancabile e insidiosissimo, sempre pronto a trovare gli spazi giusti nel garantire respiro alla manovra viola.
Equilibrio tricolore. Passo e precisione ma non solo. Quanto brillano i due tecnici nel dettare tempi difensivi e contromisure efficaci. Difficile auspicarsi di peggio da due delle migliori retroguardie che il nostro campionato ha finora attestato: solo 6 goal subiti dalla Fiorentina, miglior difesa del campionato anche dopo la sfida di ieri, al pari con l’Inter di Mancini. Seconda difesa proprio quella azzurra: 8 reti subite, spostando lo sguardo oltre l’orizzonte i dati divengono però strepitosi: solo 2 gol subiti dalla truppa di Sarri nelle ultime 8 uscite, entrambi ininfluenti. Dati incontrovertibili che si sono specchiati nella sfida di domenica pomeriggio, in un trionfo di equilibrio tattico e difensivo, nel più classico degli esempi della scuola italiana. Due squadre granitiche, compatte al limite del meticoloso, in grado di depotenziare in più di un’occasione le, importanti, folate avversarie. Il 4-5-1 di Sousa un guanto in fase di non possesso, per un tempo in grado di disinnescare in maniera quasi disarmante l’imponente potenziale offensivo azzurro. Arcigni, talvolta cattivi – sempre nel più ludico dei sensi – Gonzalo Rodriguez e compagni fino al calo di ritmo e all’esaltazione dei primattori offensivi azzurri. Non da meno la linea a 4 partenopea, a tratti un trionfo di applicazione certosina: solo due i sussulti concessi a Reina ad eccezione del goal di Kalinic, figlio dell’unica vera disattenzione della linea disegnata fin dai primi passi a Dimaro. Movimenti in sincrono sempre più evidenti, avvantaggiati dal continuo supporto del già citato Jorginho, sempre propenso a schiacciarsi fino agli ultimi venti metri partenopei. Tre idee di calcio, tre Paesi, uniti in un connubio da incorniciare. Sarri&Sousa artefici di quello che ad oggi rappresenta senza alcun timore di smentita lo spot migliore per il calcio italiano.
Edoardo Brancaccio