Il fatidico fulmine, quasi a ciel sereno. Improvviso, più o meno, nello squarciare orizzonti e sicurezze tricolori di Lorenzo Insigne, già pronto a trasferire armi e bagagli a Coverciano in vista delle amichevoli contro Belgio e Romania. Esclusione di un atleta da annoverare senza alcun dubbio tra i talenti più puri, cristallini, ai quali il cittì Antonio Conte può attingere nella sua ragionata selezione. Particolare di non poco conto in un periodo storico che non vede nell’azzurro della Nazionale una florida fucina in cui la scelta desti un particolare imbarazzo, tutt’altro.
Stato dell’arte. Svolta a dir poco a sorpresa, la mancata convocazione di uno dei trascinatori del momento, di grazia assoluta, che vede il Napoli di Maurizio Sarri imbattuto da agosto, ammansendo – in alcuni casi umiliando – tutte le dirette concorrenti poste sul cammino dell’undici partenopeo. Sei reti e quattro assist tra campionato e coppa, un corredo di prestazioni esaltanti tessendo le fila di un feeling ormai simbiotico con Gonzalo Higuain. Il ritorno alle origini, esterno mancino di un tridente offensivo, al legame a doppio filo con la porta già tracciato nei fasti alla corte del maestro Zdenek Zeman. Primi mesi di una stagione che potrebbe essere da sogno, un trampolino a lanciare il folletto con il numero 24 in orbita, giunto all’annata della consacrazione; un percorso costruito con sudore e applicazione dopo mesi e mesi di apprendistato, studiando fase difensiva ed offensiva, diventando un giocatore completo. Alle spalle, distanti ormai anni luce, quegli atavici dubbi su stazza e statura da alcuni, negli anni, definite troppo minute per raggiungere il calcio che conta.
Scelta tecnica? Dati di fatto che incrementano lo stupore circa una scelta che l’ex allenatore della Juventus – particolare su cui ritorneremo – ha tenuto a ribadire perentorio: “L’esclusione di Insigne è una scelta tecnica, non mi sembra giusto parlare di Lorenzo, non è una questione soggettiva. Il concetto è generale, si fonda su discorsi fatti ad inizio percorso. Pensiamo agli esempi positivi: la convocazione di De Silvestri, un giocatore che si è spaccato un ginocchio per noi. Abbiamo altri esempi come Verratti, che con l’Azerbaigian ha rischiato di farsi male. Altri si sarebbero tirati indietro per preservarsi per i club, quando si varcano i cancelli di Coverciano esiste solo la Nazionale”. Teniamo da parte il particolare, fin troppo sopra le righe, dei giocatori da medaglia al merito che si immolano per la patria, certi riferimenti – per nulla velati nonostante la premessa – lasciano a dir poco straniti. Come se si sorvolasse sull’annata quasi completamente trascorsa ai box nella scorsa stagione, sugli affanni, i timori, le incertezze intorno a quel ginocchio, che un ex giocatore ad altissimi livelli come Conte dovrebbe conoscere per filo e per segno. Valutazioni d’obbligo, stando alla realtà dei fatti: il versamento al ginocchio del talento di Frattamaggiore appurato e verificato dallo stesso staff medico della Nazionale, dimostrato dal lavoro a parte svolto anche a Castel Volturno nei giorni successivi. Verifiche di rito e prologo ad un accordo testimoniato dallo stesso Antonio Ottaiano, uno degli agenti del calciatore: “Insigne non lasciò il ritiro, c’è stato un confronto a cui ha fatto seguito una decisione presa insieme. C’è stato un accordo tra il Napoli e la Nazionale”. Solitamente verba volant, ma queste appaiono sibilline più di una firma in calce.
Un po’ di memoria storica. Questo è quanto, in attesa di riscontrare quanto temporanea sia la presupposta scelta tecnica. Curioso, però, riavvolgere il nastro al marzo dell’anno scorso. Conte, alla guida dei bianconeri e intento a preparare il rush finale della stagione dei record in campionato, in aperta polemica con Cesare Prandelli. L’allora commissario tecnico reo di aver convocato – senza gradito preavviso – Giorgio Chiellini, reduce da un infortunio di circa tre settimane, per l’amichevole di preparazione ai mondiali contro la Spagna campione d’Europa e del Mondo in carica. Parole al vetriolo, sintomo dell’interesse a preservare, da tecnico di una squadra di club, un proprio elemento fondamentale: “Poteva almeno chiamarmi e chiedermi ‘stupido, come sta Giorgio? Prandelli si è dimostrato poco educato”. Logiche e commistioni di interessi che mutano a seconda di posizioni e casi, certo. La coerenza è la virtù degli stolti, asseriva Wilde, ma in determinati casi, da chi ha vissuto determinate vicissitudini in prima persona, mettendoci la faccia con livore e convinzione, sarebbe almeno gradita.
Edoardo Brancaccio
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