Dall’inferno ad un paradiso per nulla improvviso. Voluto, desiderato, rialzandosi dalla polvere fatta di obiettivi stagionali sfumati in maniera dolorosa tra le dita, sentendo forte, persino opprimente, il peso della responsabilità. Gonzalo Higuain, un’estate di riflessioni e quell’incontro in Trentino come crocevia fondamentale, studiando sé stesso e ritornando più forte di prima. Il magico Monday Night del San Paolo contro l’Inter di certo non un approdo d’arrivo, ma un punto fermo, solidissimo, la fotografia migliore per un momento mai, realmente, vissuto dall’argentino di Brest in carriera; dai primi passi al River Plate agli anni dorati del Bernabeu, passando per le prime due stagioni in azzurro. Mai così decisivo, mai così devastante in area di rigore, uomo ovunque, leader, trascinatore per carisma e qualità trasfusa sul rettangolo di gioco.
31 maggio. Il baratro, la delusione, undici metri sono sufficienti a tratteggiare una sensazione di oblio difficile da scacciare. Ultima giornata, match point contro la Lazio a Fuorigrotta, il bonus Champions con cui salvare una stagione all’insegna della discontinuità in campionato e stoppata, sul più bello, in Europa. La semifinale contro la Dnipro un capitolo a parte, l’inizio della crisi, quelle polveri bagnate a scontrarsi su un Boyko due volte in serata di grazia. Le critiche, anche giuste, al campione che scompare sul più bello, smentite per larghi tratti della gara contro gli uomini di Pioli. Doppio svantaggio per gli azzurri, poi la rimonta: Pipita sugli scudi e due reti d’autore, poi la palla del match dal dischetto. Rincorsa decisa, conclusione potente, ma alle stelle. Il crollo, il traguardo che sfugge sotto i colpi di Onazi e Klose, il Napoli è addirittura quinto, Benitez sull’uscio pronto a raggiungere la Casablanca. Il futuro un’enigma indecifrabile reso ancora più nebuloso dalla maledetta finale di Santiago contro il Cile, anche lì poco freddo sotto porta, un nuovo rigore sbagliato nella lotteria finale dagli undici metri. Un carico di certezze che sembrano scappare veloci, sipario terso su una stagione comunque importante, contraddistinta da 29 reti stagionali, ma rese quasi insignificanti da un epilogo ricolmo di difficoltà. Un nuovo orizzonte era però lì, ad un passo. Luminoso.
30 novembre. La doppietta che schianta l’Inter capolista, confezionando un primato in solitaria lontano 25 anni, è la pietra miliare di un percorso. Tappa fondamentale in una scalata ripida ma entusiasmante, scorgendo vette tra il sogno e la realtà, da raggiungere con il medesimo entusiasmo, la stessa caparbietà, l’infinita classe. Due reti in cui Higuain ha abbinato tutte le doti richieste ad un centravanti di livello sontuoso, top player nel più puro senso del termine. Freddezza, rapacità, scatto bruciante, angoli di tiro difficile di scorgere da un occhio umano, non per un attaccante come il classe ’87 portato da Capello e Mijatovic a Madrid. Una scalata, dicevamo, iniziata a Dimaro, tra i dubbi di un connubio, quello con Maurizio Sarri, che a molti aveva fatto storcere il naso. Il fuoriclasse accetterà il tecnico venuto dalla gavetta? “Non ho chiamato Higuain. Non vedo l’ora di incontralo e guardarlo negli occhi. Può essere il leader tecnico. Può ancora migliorare, essere il numero uno, soprattutto voglio vedere qualche suo sorriso in più perché nelle immagini delle partite dell’anno scorso lo vedevo spesso nervoso, con qualche sorriso in più potrebbe rendere ancora meglio”. L’incontro ci fu, a distanza di due settimane ed i sorrisi furono smaglianti, contagiosi, come quello del tecnico all’arrivo del suo campione al Rosatti. Poi spazio al lavoro, bastone e carota, pungolandolo nell’intimo. “Io e il mister abbiamo parlato a Dimaro e questo incontro mi ha cambiato, perché ho visto un uomo vero che dice a tutti quello che deve dire, me compreso. Non si deve essere troppo intelligenti per capire che lui ha avuto un ruolo nel mio miglioramento”. Higuain dixit, consapevolezza crescente dei propri mezzi e una maggiore cura di sé stesso, scrutando margini di miglioramento ancora immensi, giunto all’età della maturazione. Il dado è tratto: 14 goal e 2 assist in 17 presenze, dall’alto di 1281 minuti giocati ad un’intensità pazzesca, a tutto campo, regista offensivo e centravanti d’area, tutto in un mix unico, con pochi eguali a livello europeo e mondiale.
Sei mesi. “Sognare è lecito e chi dice che non sogna lo scudetto dice una bugia. D’altra parte è anche vero quello che dice il mister: ragionare partita dopo partita”. Parole alla vigilia della gara contro i nerazzurri, ora suonano come una conferma. Sei mesi per ritrovare Napoli e conquistarla, da sovrano assoluto. Quel gusto scovato nel gioire ed esultare con il suo pubblico in totale adorazione una nota lieta in più. La rotta è tracciata, ora è il tempo di una fiaba da vivere e raccontare. A margine mancano ancora i rigori – per un indispettito Sarri – ma anche in quel caso la rivincita non tarderà ad arrivare.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 1 Dic 2015 - 23:59