Dubbi sparsi e qualche incertezza sulla gestione del doppio impegno. Maurizio Sarri e la prima volta nel confrontarsi con i ritmi europei, senza la consueta settimana a disposizione, proverbiale panacea per i tecnici ad ogni latitudine. Una prima volta per pochi, questo il responso al termine delle sei gare europee: sei vittorie in sei gare, ventidue reti, solo tre reti a referto il passivo. Un ritmo da record, unica squadra europea a punteggio pieno, sigillato con l’ennesimo pokerissimo ad allietare il pubblico partenopeo. Il Legia guidata da Cherchesov mai in partita, schiantato sotto i colpi di un Napoli capace di allontanare le scorie della domenica da dimenticare del Dall’Ara e concedere ritmo e spettacolo.
Un’ottima prestazione che nella zona nevralgica del campo vede emergere le doti ad oggi sopite, appena accennate di Nathaniel Chalobah. Primo goal in azzurro da mezzala pura, nel pieno senso del termine: tempi d’inserimento perfetti, progressione fulmineo, numero a irretire Pazdan e destro sicuro con cui festeggiare i ventuno anni ormai alle porte. Dinamico, spigliato, in grado di tirare con efficacia le fila della mediana azzurra. Accorto in fase di non possesso, sempre prodigo nel ripiegare e supportare la retroguardia, sempre propositivo nelle proiezione offensive. Le ottime sensazioni dell’esordio lasciano ormai spazio a note sempre più liete. Un talento da scrutare e scoprire, il classe ’94 british di proprietà del Chelsea, passo dopo passo, gara dopo gara.
Azzurri letali negli ultimi venticinque metri. Bene Insigne, che trova il primo timbro europeo beffando la distratta retroguardia del Legia, ottava rete stagionale a confermare un trend mai mostrato alle pendici del Vesuvio. Un sussulto di giocate sul velluto e battute a rete l’ora di gioco del folletto di Frattamaggiore prima di lasciare il campo a Josè Callejon. Giano bifronte, lo spagnolo, latitano le gioie in campionato, cinque reti in Europa League, capocannoniere azzurro nella competizione. Movimento tra le linee, da centravanti di mestiere, a capitalizzare il primo pallone utile, poi spazio al consueto movimento senza palla e all’impagabile lavoro per i compagni. Due frecce, il 7 e il 24, esaltati dal fraseggio, dal dialogo costante con il protagonista della serata: Dries Mertens, il migliore in campo.
Il ritorno del classe ’87 di Leuven, a pieno regime, è una vampata d’ossigeno, refrigerante, benefica. Gioca e si diverte, si esalta allietando la platea del San Paolo e il pubblico azzurro tutto. Un assist e due reti, a cesellare una proverbiale prestazione da spellarsi le mani. Incontenibile, delizioso, tra giocate esaltanti e spunti da standig ovation è la più affilata spina nel fianco dell’undici di Cherchesov. Le due reti sono perle di rara bellezza insite nel bagaglio tecnico dell’ex Psv: destro potente e preciso, che prima bacia il palo e s’insacca e poi non lascia scampo a Kuciac incrociando imparabile. Due reti stupende, ma l’eurogoal, quello da mandare agli annali, resta lì, sulla linea di porta: galoppata funambolica, ubriacante, lasciando interdetta l’intera retroguardia polacca e tocco morbido a cercare la rete, tutto vanificato dall’intervento di un Pazdan stavolta provvidenziale. Show del belga che trova il prologo – prima della doppietta personale che sancisce, anche per lui, il quinto sigillo nella competizione – nell’assist preciso con cui manda a rete un lesto Callejon. Il modo migliore con cui ritrovare il campo da titolare, sciorinando tutte le sue carte ed anche qualcosa in più, con il sorriso sulle labbra.
Edoardo Brancaccio