“Dove i percorsi s’intersecano, l’intero mondo lo considererà casa”. Ecco: tra le mille citazioni, quella di Hermann Hesse sembra la più pertinente. Perché poi, in fondo, il filosofo dell’amore potrebbe essere l’unico tra i suoi colleghi davvero in grado di capire cos’accade – a domeniche alterne – allo stadio “San Paolo”. Non un impianto, non un campo. Ma una casa, appunto. Una di quelle da ristrutturare all’istante, però piena di ricordi.
È che gli azzurri, nel bene e nel male, ci sono cresciuti. Cadendo, rialzandosi, vincendo e cadendo ancora. Una sorta di saliscendi emotivo che probabilmente non ha eguali in nessun altro sport, in nessun’altra parte del mondo. Come Napoli, del resto. Unica nel suo genere. Inimitabile nelle sue perfette imperfezioni.
Tale padre e tale figlio, no? E trasformiamola pure così: tale città, tale stadio. Perché dal colpo d’occhio – da lasciarti senza fiato nelle grandi occasioni -, fino al tifo incessante, c’è un mondo di cose che proprio non vanno. Su tutte, il “contorno”.
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