Mancini, la volpe e l’uva: “In Italia nessuno esprime un gran calcio, conta solo il risultato”. Ma in molti non concordano…

Tre punti in tasca, ritrovato vigore e qualche sassolino dalla scarpa. Il tecnico nerazzurro Roberto Mancini ha rilasciato le consuete dichiarazioni della vigilia ai microfoni del canale tematico nerazzurro e, tra i vari argomenti affrontati prima della gara di Verona, si è lasciato andare ad alcune, particolari, dichiarazioni: “Sappiamo benissimo qual è l’obiettivo dell’Inter e siamo in linea con i nostri programmi. Eravamo partiti benissimo e ora abbiamo avuto un calo dovuto anche ad un po’ di sfortuna. Nel mondo a parte Barcellona, Bayern, PSG, Real Madrid e City non ci sono squadre che esprimono un grande calcio. In Italia conta troppo il risultato finale, non è semplice. Noi comunque contro il Chievo abbiamo giocato bene. Ma anche contro il Milan abbiamo giocato bene, almeno fino al rigore sbagliato”.

Eppure, qualcuno che si discosti da quest’affermazione nel panorama tricolore sembra proprio esserci. Dichiarazioni, particolarmente superficiali, che stridono con quanto il Napoli di Maurizio Sarri sta dimostrando gara dopo gara, su ogni campo. Che il collettivo azzurro dispensi un gran calcio, un gioco prospositivo fatto di intensità, meccanismi minuziosi ed esaltazione, totale, dei propri interpreti sembra un’ovvietà avvalorata da immagini, numeri e fatti. Affermazioni di Mancini che, oltretutto, si pongono in netta controtendenza con l’opinione di colleghi di rilievo assoluto. “Vedo molte squadre nel calcio di oggi che vogliono giocare come il Barcellona senza avere la qualità per farlo perché è difficile pressare alto e giocare in verticale. Le migliori interpreti di questo tipo di gioco sono il Barcellona ed il Bayern, ma anche il Liverpool di Klopp ed il Napoli, le altre squadre non riescono a farlo con questa efficacia″. Firma in calce: Fabio Capello, solo due giorni fa per le colonne di As.

A fare eco all’ex tecnico di Milan, Juventus e Real Madrid, in svariate occasioni, uno dei tecnici più rivoluzionari della storia del calcio italiano, Arrigo Sacchi: “Per troppo tempo, abbiamo tradito l’essenza del calcio che è un gioco d’attacco. Lo abbiamo sempre concepito come uno sport individuale dove i difensori devono difendere, il numero 10 inventare, il numero 8 pensare a tutto e il 9 fare goal. Quindi abbiamo costantemente trascurato il gioco, che è la componente che fa da collante a tutto, aggrappandoci alla furbizia pur di vincere. Abbiamo sempre pensato allo spirito ma non a quello che dà l’armonia. Proprio noi che abbiamo esportato l’arte, la moda in giro per il mondo. Il Napoli di Sarri è invece una squadra che gioca in 11″. Una delle tante attestazioni di stima del maestro di Fusignano all’allenatore azzurro. Dimostrazione del fatto che non sia necessario di disporre di budget faraonici per mettere l’idea, il bel gioco, al centro del villaggio. Cogliendo risultati importanti, preferibilmente, ma anche questa appare come un’ovvietà.

Affermare che in Italia nessuno esprima bel calcio, insomma, appare come una vera e propria eresia, ma come decantava il celebre favolista greco Esopo: “Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi.» Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze”.

La volpe e l’uva, rivisitata da Roberto Mancini da Jesi.

Edoardo Brancaccio

 

 

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