Qui fu Napoli: Di Canio, il Milan degli invincibili e quel capolavoro che mandò in visibilio il San Paolo. Con buona pace di Baresi…

Occasione controsorpasso, con la Juventus stoppata al Dall’Ara dal coriaceo Bologna di Roberto Donadoni. Una posta in palio da cogliere senza esitazioni contro il Milan nel Monday Night. Una sfida, quella contro l’undici di Mihajlovic, che in riva al Golfo ha sempre un profumo particolare. Riavvolge il nastro dei ricordi verso l’epoca aurea del calcio partenopeo, quando tra le mura di Fuorigrotta il Napoli di Diego Armando Maradona lottava, colpo su colpo, contro il Milan della a dir poco ambiziosa gestione Berlusconi, primi passi di una presidenza che avrebbe cambiato la storia del calcio. Vittorie importanti come quella del 26 aprile 1987, un 2-1 griffato Carnevale e Maradona come miglior viatico all’apoteosi del 10 maggio, la data incastonata nella storia, quella dello “Scusate il ritardo”. Sconfitte cocenti come nel maggio dell’anno successivo, 2-3 il finale con il pubblico azzurro che non esitò nell’applaudire vincitori e vinti, anche se lo scotto da pagare fu dilaniante, con il secondo Scudetto di fila che sfuggiva, melanconicamente, tra le dita dopo una stagione comunque d’assoluto livello. Un progressivo crollo nel dopo Maradona, mentre la storia rossonera continuava ad assumere contorni sempre più monumentali. Ma, nonostante tutto, Napoli-Milan ha sempre assunto un significato particolare, con partite rimaste indelebili nella memoria dei tifosi partenopei, come nella stagione 1993-94.

Il breve interregno Lippi. Una singola stagione, ma per nulla avara di soddisfazioni, per Marcello Lippi alle pendici del Vesuvio. Anno di transizione, il 1993, il primo dei due alla guida per Ellenio Gallo, presidente su mandato dell’ingegnere Corrado Ferlaino. Il ridimensionamento continuo, l’addio di Careca, la partenza di Zola in direzione Parma, ma la rosa del tecnico viareggino – che l’anno successivo sarebbe approdato a Torino sponda bianconera – restava di alto profilo. Taglialatela, Ferrara, Bia, Cannavaro, Francini, Pecchia Fonseca, Buso, Di Canio, Jonas Thern, interpreti in grado di abbinare talento, esperienza e margini di miglioramento immensi. L’ultimo Napoli realmente competitivo prima dell’era De Laurentiis, un gruppo chiamato a dibattersi tra campo e bilanci, che lottava tra stipendi arretrati e difficoltà economiche sempre più insormontabili. Un collettivo che al netto delle difficoltà finanziarie riuscì ad agguantare il sesto posto al termine della stagione, l’ultimo valido per il piazzamento UEFA. Ultimo traguardo europeo prima della stagione 2007-2008. Belle vittorie, come le affermazioni corsare a Roma, 2-3 contro i giallorossi e a domicilio del Parma di Nevio Scala con le reti di Gambaro, Fonseca e Thern. Ma il fiore all’occhiello di quell’annata fu senza dubbio la sfida del San Paolo il 27 marzo 1994, con il Milan di Fabio Capello, quello degli invincibili, di scena a Fuorigrotta.

Gli invincibili. Una squadra leggendaria, capace quell’anno di vincere Supercoppa Italiana, Scudetto e Coppa Campioni. La terza nella gestione Berlusconi, la prima – e poi unica – in carriera per Capello in panchina. La coppa dalle grandi orecchie vinta con umiltà, dispensando lezioni calcio, metodo, meticolosa applicazione. Un colpo di spugna sulla guasconeria catalana della vigilia, umiliando, al netto di un’emergenza totale, il Barcellona di Cruyff in panchina, con Romario e Stoichkov punte di diamante. Il Dream team sovrastato con un 4-0 senza storia ad Atene, lasciando a bocca aperta il mondo intero. Campioni d’Italia in carica che, prima di un maggio grondante conquiste, arrivavano al San Paolo forti del primato in classifica costruito con una sola sconfitta subita in 28 giornate.

Lo scalpo dei campioni. Gara difficile, coefficiente da bandiera bianca issata al più presto, non per l’undici di Lippi, intenzionato a proseguire la propria rincorsa europea prendendosi, perché no, una bella rivincita dopo la sconfitta nella gara d’andata e con negli occhi ancora vivissimo il pokerissimo patito a domicilio della stagione precedente. Fuori Ferrara tra gli azzurri, Massaro e Savicevic sostituiti da Papin e Gigi Lentini per i rossoneri. Il resto è cronaca da vivere tutta d’un fiato. La gara è fisica, il Napoli ci prova ma è il Milan a rendersi più pericoloso con Simone che prima trova un reattivo Taglialatela e poi viene fermato solo dall’incrocio dei pali. Gli azzurri si affidano a Fonseca ma il muro issato dalla retroguardia più forte del mondo non trema, almeno fino quando la scintilla si propaga dagli spalti, gremiti in ordine di posto a comporre una cornice sudamericana, fino a pervadere a pieno Paolo Di Canio. Talento croce e delizia di quella stagione, ma che in azzurro ha lasciato un ricordo difficile da cancellare. Per i secondi 45′ di gioco imbastisce una vera e propria battaglia con la ferrea linea a 4 avversaria, Rossi gli chiude la porta in un paio d’occasioni ma nulla può al 79‘ di gioco. Tracciante in profondità con il contagiri di Buso che invita in profondità il numero 7 azzurro, via in rapidità, verso la Curva B, con un intero stadio a spingerne la falcata. Spunto in velocità su Panucci che però recupera e tiene la posizione, un dribbling sulla destra, eludendo la marcatura ma ecco il raddoppio di Franco Baresi. Tutto, di norma, si sarebbe concluso lì, non c’è spazio, margini di manovra ridotti al lumicino, ma non il quel magico pomeriggio primaverile. Ancora due finte ad ubriacanti, un pendolo che oscilla nell’area di rigore fino ad esplodere un mancino preciso ed al fulmicotone che da pozione impossibile trova un varco che Rossi può solo ammirare alzando il cappellino per l’occasione. Nota a margine la rabbia per nulla nascosta del capitano rossonero che non la prese benissimo, proprio no. Boato, delirio, la torcida azzurra esplode, l’esultanza trascinante. Dieci minuti ed il fischio finale. I campioni devono pagare dazio. Più sono grandi, ed erano immensi, più il rumore è sordo, assordante quando cadono. Per una domenica in riva al Golfo i bei tempi andati sembravano ridestarsi, zampillando incontenibile entusiasmo. Solo un’illusione, ma che domenica.

Edoardo Brancaccio

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