Febbraio, il mese delle risposte. Sette gare in ventisei giorni, con uno stuolo di impegni cruciali nel definire un percorso dagli orizzonti, la premessa è d’obbligo, fino a qualche mese fa inimmaginabili. Il principio con gli auspici benevoli della vittoria dell’Olimpico con la Lazio. Poi, dalla sfida vinta di misura contro il Carpi di Castori ecco qualche, piccola ma insidiosa, crepa che ha cominciato progressivamente a manifestarsi nelle fondamenta del Napoli costruito da Maurizio Sarri. Un tragitto ricolmo di buche e battute d’arresto che ha accompagnato all’attuale status quo con la gara del Franchi come vero e proprio spartiacque stagionale.
Due Settimane. Quindici giorni sufficienti a inumidire certezze che sembravano incrollabili. L’Eupalla, ciò che tutto muove sul rettangolo di gioco, che si sottrae a qualsiasi carezza. Dal goal di Zaza, alla punizione di Denis Suarez, passando per i legni inflessibili contro Milan e Villarreal fino al goal, casuale per ammissione del diretto interessato, di Pina. Una serie di episodi – glissando, ma non troppo, su arbitraggi spesso non all’altezza – che, va detto, fanno parte del gioco, ma che attestanto quanto la sorte non abbia arriso agli azzurri nel primo, vero, momento topico della stagione.
Non solo il caso. Limitare il primo reale momento di difficoltà nella gestione del tecnico ex Empoli – dalla rivoluzione silenziosa costruita in un pomeriggio di settembre contro il Brugge – alla semplice, schietta, sorte malevola non sarebbe comunque corretto. Sarebbe, di converso, limitante. Come gettare la polvere sotto un tappeto in attesa delle pulizie di primavera ancora distanti. Dalla sfida contro il Carpi, qualcosa, dicevamo, ha cominciato a scricchiolare. Tutto nella freschezza del fiore all’occhiello del gioco azzurro, un reparto offensivo arrivato a quota 76 reti stagionali il 3 di febbraio per poi racimolare il misero bottino di tre reti contro Carpi, Juventus, Milan e due volte Villarreal. E se la fase difensiva ha comunque retto, subendo spesso reti al limite della casualità o del mero gesto tecnico, vedasi le due con cui i submarino amarillo hanno eliminato i partenopei, in avanti qualcosa ha attestato di non girare con il consolidato, forsennato, ritmo negli avanti azzurri. Lo stesso Sarri si è espresso in merito, accennando alla brillantezza inferiore rispetto al solito di alcuni giocatori chiave. E sarebbe ingiusto puntare l’indice verso un Gonzalo Higuain a secco dal rigore, freddo e potente, contro il Carpi. Scorretto verso un bomber da 26 reti stagionali, 24 su 26 gare disputate in campionato.
Non solo i singoli. Lucidità, scelte giuste ad innescare la giocata decisiva negli ultimi venticinque metri. Questo è mancato, ma dietro un gruppo che non coglie il massimo della posta da quattro gare; che nonostante un dominio sempre palese dal punto di vista del gioco raccoglie solo le briciole in zona goal si nasconde, anche, altro. Tutte le avversarie incontrate dal Carpi di Castori fino al Villarreal di Marcelino, passando per la Juventus – costretta dalle assenze – ed il Milan, hanno affrontato gli azzurri con il medesimo modulo, il 4-4-2, ed un sistema di gioco pressoché identico. Due linee ben disegnate, intensità costante a metà campo, lettura perfetta sugli esterni e marcatura ossessiva nel tagliare rifornimenti e spazi per il pericolo numero uno, neanche a dirlo Gonzalo Higuain. Lasciando un bandolo, spesso sterile, del gioco al Napoli. L’osservazione nasce spostanea, senza mai tralasciare i meriti indiscutibili del tecnico azzurro, autore di una stagione vibrante, con un campionato ancora tutto da giocare, ma che – anche questo va detto – comunque ha visto svanire già a febbraio due delle tre competizioni a disposizione. Qualche limite, forse l’unico e più evidente, in questo febbraio durissimo è emerso anche nella gestione dell’allenatore toscopartenopeo. Una fedeltà costante al disegno tattico che tante soddisfazioni ha garantito durante questa prima esperienza in riva al Golfo, esitando spesso nel tamponare le contromosse avversarie, muovere l’alfiere e mettere in scacco, guardando negli occhi, i propri colleghi. Cambi di assetto solo accennati ed una gestione di uomini e sostituizioni troppo spesso automatica, senza dare l’impressione di voler dettare un cambio di passo in gare che alla lunga hanno finito per chiudere la mole di gioco prodotta in un vero e proprio imbuto. Ma c’è tempo e modo per rimediare, la posta più ambita, oggi, non è per nulla compromessa.
Due scenari. Qui il bivio, il Franchi e un Monday Night dal sapore agrodolce del dentro/fuori. L’obbligo è azzerare tutto e ripartire. Perché i novanta minuti di Firenze aprono a due sfumature diverse, tanto definite da poter essere tagliate con il coltello. Il pari un limbo, tenendo la barra dritta ma comunque difficile da attutire in caso di vittoria bianconera, soprattutto psicologicamente. La doppia, vittoria o sconfitta, apre a due scenari irrimediabilmente diversi. Vincere, consapevoli del risultato dalla Juventus nel Derby d’Italia e della Roma impegnata al Castellani contro un Empoli in crisi di risultati ed emergenza in difesa, rilancerebbe le velleità, di prepotenza, in ottica scudetto. Con lo scalpo di una diretta concorrente come panacea, allontanando le nuvole di un cupo febbraio e sancendo un’ipoteca solidissima, almeno, sul piazzamento diretto alla Champions. Una sconfitta, invece, sfocerebbe in una crisi che ancora non si è manifestata. Scorci difficili, anche quelli, da immaginare fino ad un mese fa. Una Fiorentina a 2 punti ed una Roma, ipoteticamente, a meno 4 rischierebbero di sconvolgere i piani e impantanare gli azzurri in una lotta che sembrava ormai da tempo abbandonata. Con tutti gli strascichi a seguire. La patria dei Medici come crocevia decisivo, dunque, mettendo le carte in tavola. I bluff non sono più ammessi, il fronte ora è unico, uomini e settimane interamente dedite ad un imprescindibile obiettivo, un all in a tutti gli effetti contro una squadra che a differenza delle ultime avversarie dovrà fare il proprio gioco. Che il Napoli allora faccia il suo, il coso, come definito da Sarri, non è utopia.
Edoardo Brancaccio
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