Febbraio nero, ma non solo. Nel testa a testa con la Juventus l’obbligo è il “ritorno alle origini”

Un Cannibale da scalzare al termine di un’estenuante scalata, una corazzata da affondare rispondendo colpo su colpo. Gli appellativi per la Juventus capolista si sprecano, un avversario reduce da un percorso mastodontico, strabiliante, aggettivi forse insufficienti a descrivere una rincorsa, quella bianconera, scandita da 17 vittorie nelle ultime 18 gare, tutte da imbattuta. Una diretta concorrente che incute timore al solo decifrarne l’approccio alla gara, la gestione della partita, tanta la disinvoltura con cui è solita piegare i propri avversari. L’imperativo, però, è crederci, il patron Aurelio De Laurentiis l’ha ribadito, Maurizio Sarri l’ha appena sussurrato, più volte tra il serio e il faceto, fino a rievocare una storia di sport mutata in leggenda. Quella di Thévenet, capace nel 1975 di strappare a Merckx – il Cannibale, proprio lui – l’egemonia al Tour de France. Un obbligo che attinge a piene mani nella realtà, il Napoli per la prima volta dopo oltre un quarto di secolo è lassù dove osano le aquile, a tre punti dalla testa, respirando l’inebriante essenza della vetta. Vicina, accarezzata in due occasioni, spalancando palpebre e membra ad un sogno ad occhi aperti.

L’inversione. Il miglior Napoli per credere nell’impresa. Una necessità nelle ultime dieci gare che vedono il gruppo di Allegri forte di un calendario leggermente più agevole. Accantonati, dal campo, i discorsi su brillantezza e potenza di fuoco del reparto avanzato, la lente d’ingrandimento si sposta sul fattore che per ampi frangenti di quest’annata ha rimarcato un quid in più, il fiore all’occhiello nell’idea dell’allanatore partenopeo: la solidità difensiva. Il calcio frizzante, arioso, spumeggiante, il dinamismo in mediana e la prepotenza dell’attacco partenopeo hanno rappresentato solo uno degli aspetti impressi dalla rivoluzione silenziosa di Sarri in riva al Golfo. L’altra, splendente, faccia della medaglia stava in una difesa ermetica, blindata, in grado di contagiare con un senso di compatezza totalizzante. Intere gare in cui il Napoli non solo dominava, ma non destava mai la minima impressione di poter essere scalfito dalle folate avversarie. Tutto espresso nei numeri: dalla gara contro la Lazio – insieme alla sfida contro il Brugge il vero spartiacque dell’annata azzurra – fino alla vittoria sul Torino i dati dal fronte recitavano un bottino di sole 8 reti in 15 partite al passivo, un goal subito ogni due gare, compreso il tracollo del Dall’Ara a sporcare la media. Dalla trasferta del Matusa, con annesso titolo platonico di Campioni d’inverno, fino ai 3, corroboranti, punti contro il Chievo l’inversione di tendenza: 9 reti subite in sole 10 gare, quasi un goal a partita. Numeri con i quali è complesso tenere il passo di una Juventus dove Buffon corre a grandi passi verso il record d’imbattibilità in Serie A.

Reina Higuain napoli inter
Higuain e Reina, i due leader

Il miglior Pepe. Dati che trovano il proprio fulcro in un febbraio logorante e da dimenticare, spesso condizionato da episodi e malasorte. Ma restano il responso di due mesi in cui lo smalto e l’impermeabilità della fase passiva partenopea ha mostrato qualche crepa in un impianto che incantava, per armonia ed efficacia smagliante. In qualche occasione è anche mancato – e non è lesa maestà appuntarlo – anche il miglior Reina. Sulla rete di Bonaventura come su quella di Rigoni, ed in una serie di occasioni che meno sono balzate all’occhio contro in clivensi, il classe ’82 di Cordoba non è apparso al suo meglio. Così come in principio sul goal di Eder in occasione del poker a domicilio della Sampdoria a fine gennaio, con tanto di meraviglioso tweet in risposta ad un tifoso. Nessuna topica, spesso per nulla aiutato da errori individuali dei propri compagni, ma casi che fanno il paio con la punizione di Denis Suarez, decisiva ai fini della qualificazione, forte e potente ma centrale, parabile per un Reina capace di esprimere tutto sé stesso. Tutto già agli atti, ampiamente attestato in stagione con prestazioni da applausi a scena aperta. Un Napoli al 100%, ritrovando la compattezza a tratti smarrita, guidato dal proprio lìder maximo tra i pali al massimo del suo splendore. Ad Higuain e compagni il resto, la ricetta per il rush finale è servita.

Edoardo Brancaccio

 

 

 

 

 

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