Dalla Sampdoria al Barbera, riscrivendo la propria storia. Come ai tempi della Casa Blanca, sei anni a ritroso. Le merengues di Pellegrini ed il Napoli di Maurizio Sarri. Paragone ambizioso salvo il finale che stavolta, chissà, potrebbe anche sorridere all’argentino. Un Gonzalo Higuain da record, una cavalcata intrapresa ad agosto accelerando il passo. Ritmi da Liga, appunto e quel record in carriera che era lì, serafico, scandito dai 27 centri in campionato nella stagione 2009-2010 ancora intonso, finalmente raggiunto.
Un’annata monstre, quella, un guizzo in più del più ingombrante dei compagni di reparto, Cristiano Ronaldo, ventisette a ventisei il responso finale. Non sufficiente per il titolo di Pichici, suo malgrado appannaggio di un imprendibile Leo Messi con 34 reti. Una beffa, per lui come per il Real, secondo allo sventolare della bandiera a scacchi nonostante i 96 punti in classifica. Cinque stagioni senza più avvicinare quel rendimento, fino a quest’anno, fino all’incontro, il colpo di fulmine con il tecnico azzurro. Un feeling sbocciato a Dimaro e sfociato nella stagione della definitiva consacrazione. “Se ritrova il sorriso può essere il numero uno”. Parola di Sarri, detto, fatto. Il resto è cronaca recente, fino a ieri: sicurezza, potenza e precisione dal dischetto. Record eguagliato. Con nove gare d’anticipo che lasciano in dote 810′ di gioco sufficienti ad accantonare il passato e far parlare i numeri. Solo quelli, sia chiaro, negli occhi, nelle giocate, in quello spirito da leader ormai cucito sulla pelle, la stagione 2015-2016 è già – da tempo – l’annata migliore della carriera dell’argentino nato in Francia solo per caso.
Dalla doppietta ai danni dei blucerchiati guidati, quel 30 di agosto, da Walter Zenga, una furia implacabile. Un uragano spietato sulle retroguardie avversarie. Troppa grazia, un repertorio sciorinato attingendo a tutto il bagaglio tecnico che madre natura, benevola, gli ha donato con tanta condiscendenza. Dalla progressione palla al piede con la Juventus, alla rapidità d’esecuzione contro l’Inter, passando per l’opportunismo contro Lazio, il movimento bruciante contro il Chievo, fino alla ritrovata freddezza dal dischetto. Nello score da urlo del Pipita c’è tutto. Ventisette gemme in sequenza, l’antologia del centravanti moderno, un ritmo che ha schiantato ogni diretto concorrente alla classifica marcatori. Ora l’occhio è alla Scarpa d’oro. Un vezzo per chi sotto pelle sente pulsare quell’irrefrenabile desiderio di gonfiare la rete. E non è tutto, eguagliato anche il record di marcature stagionali: 29, come la scorsa stagione e nel 2010. Da domenica, con il Genoa atteso al San Paolo si passa al nuovo step. Fermarsi adesso sarebbe eresia.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 14 Mar 2016 - 17:58