Campo ostico, Udine, storicamente infame per i colori azzurri. E sarà proprio in terra friulana, nella rinnovatissima Dacia Arena, che il Napoli di Maurizio Sarri proseguirà la propria rincorsa alla Juventus nel lunch match della 31a giornata. Difficoltà partenopee innegabili a domicilio dei bianconeri, come attestato dallo storico dei 37 precedenti: 13 vittorie per i padroni di casa, 19 pareggi e solo 5 affermazioni partenopee. Un tabù, o quasi, da sfatare per Higuain e compagni. Ritrovando quei 3 punti che mancano da quasi nove anni, dal 2 settembre 2007. Non una gara qualunque, uno 0-5 senza storia. L’inizio di un amore trascinante, indescrivibile. Quello tra Ezequiel Lavezzi e la piazza partenopea.
Il nuovo corso. Aria, pura, inspirata con gioia, a pieni polmoni. E ad occhi aperti, con il timore di sognare. Perché nell’estate del 2007 tutto tornava al proprio posto. Napoli di nuovo in Serie A dopo 6 anni di purgatorio ed inferno a intervallarsi, spietati. Una mediocre B, il fallimento, l’onta della Serie C e la rincorsa nella serie cadetta più competitiva di tutti i tempi. Finalmente nel proprio habitat naturale, chiudendo il primo step della gestione De Laurentiis. Un mercato lungimirante griffato Pierpaolo Marino. Le basi per il futuro, del Napoli che verrà ed entusiasmerà. Un occhio all’esperienza, ovvio, con gli innesti di Blasi e Zalayeta, permeati dall’excursus – di breve o lungo corso – in bianconero. Ma a fare la differenza, colonne del progetto che va oltre i semplici orizzonti, un trittico di acquisti, la zampata dell’ex dirigente azzurro. Il dinamismo, la garra di Walter Gargano, ventidue anni, torello di centrocampo instancabile, condottiero di innumerevoli battaglie prelevato dal Danubio. Vent’anni ed un fare da veterano, scafato, per Marek Hamsik. Paragoni ingombranti che si sprecano e una fila chilometrica al seguito, chiedere a Mancini, che sul talento di Banska Bystrika poggiò più di un semplice sguardo. Troppo tardi, però. Tutti bruciati sul tempo dall’offerta giusta presentata sulla scrivania del presidente Corioni. L’inizio di un legame solido, infinito, che ancora oggi vede il 17 azzurro incantare, fascia da capitano ben stretta, senza mai smettere di stupire. E poi c’era quel ragazzo, un titolo in patria con il San Lorenzo a seguire la fugace esperienza a Genova, sponda rossoblù. Un biglietto andata/ritorno a brevissimo giro di posta, causa retrocessione d’ufficio del Grifone per illecito sportivo. Poi Napoli, crocevia definitivo nella carriera – e nella vita – di Ezequiel Lavezzi, ventidue anni da Villa Gobernador Galvez. Una rosa di tutto rispetto, forte dei pretoriani della promozione in A, argilla morbida tra le mani sagge e ricolme di voglia di dimostrare tutto il proprio valore di Edy Reja.
Il Pocho. Premesse smorzate da una falsa partenza. Un San Paolo entusiasta per il ritorno nella serie maggiore ridestato dai guizzi di Matri e Foggia. Poco, comunque, per smontare l’entusiasmo. E dopo la battuta d’arresto all’esordio contro il Cagliari l’occasione per la rivincita, immediata, si presentò dopo sette giorni. Al Friuli, è lì che la magia scoccò abbagliante, senza mai più spegnere la luce. Avversario da prendere con le molle, ma solo sulla carta, di Asamoah, Inler, Quagliarella – salvo un intervento da antologia di un impeccabile Iezzo – solo le ombre. Tanto, tantissimo Napoli. Ermetico in difesa, con il duo Cannavaro-Domizzi protagonista, per non farsi mancare nulla, nel goal del raddoppio – sponda del primo per il guizzo perentorio del secondo – e solido a metà campo, guardia alta per Gargano e Blasi, neanche uno spiffero autorizzato a circolare dalle loro parti. In avanti, che dire: straripante. Il cinismo del Panteròn, autore di una doppietta, a serrare le fila. E con un fulmine con il 7 cucito sulle spalle indiscusso Mvp di giornata. Imprendibile, facendosi beffe non solo dei malcapitati avversari, ma anche dei critici della prima ora. Troppo poco lo spettacolo agostano in Coppa Italia contro il Pisa, al momento di tirare le somme l’argentino – dicevano – appariva abulico, fuori dagli schemi e, soprattutto, sovrappeso. Un acquisto già marchiato, una cantonata rifilata nella terra del diez. Ma bastò poco per fugare critiche e dubbi. Novanta minuti con cui presentarsi senza troppi ossequi al calcio italiano. Due assist per aprire e chiudere la contesa, variando il repertorio. Imprendibile – per gli affanni di Mesto – sulla sinistra e preciso nel servire Zalayeta per il vantaggio. Testa alta e filtrante preciso, un invito a nozze sullo spunto del Pampa Sosa a calare il pokerissimo. Ed un goal, e che goal, finta di destro e botta tremenda con il mancino, nessuna speranza per Chimenti e gara chiusa dopo un’ora con un tris da applausi. Tre squilli poderosi in una prestazione da togliere il fiato, un rullo incontenibile, anarchico, che avrebbe fatto impazzire la platea partenopea in una storia d’amore lunga cinque stagioni intensissime. Luce per gli occhi del pubblico, ai piedi di un nuovo beniamino e del patron azzurro, che nel dopo gara non esitò dal togliersi qualche sassolino dalla scarpa: “Con questo 5-0 sono serviti quei soloni, anche a Sky, che hanno bocciato il nostro mercato: prima di dare giudizi avventati bisogna riflettere. Lavezzi è un giocatore di assoluta qualità, dopo una sola partita avevano criticato il nostro mercato come fosse fallimentare. Ma io nel cinema prima di tranciare giudizi sono abituato a valutare attentamente le cose”. E chi poteva dargli torto.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 1 Apr 2016 - 21:20