Paolo Bertini, ex arbitro di Serie A, finito nello scandalo di Calciopoli nel 2006, è tornato sull’argomento che lo ha portato a dover chiudere in maniera anticipata la sua carriera. E lo ha fatto rilasciando una lunga intervista sulle pagine dell’edizione odierna del Corriere dello Sport. Questi i passaggi più importanti: “Non si può parlare di Calciopoli dopo così tanti anni in maniera leggera. Ma in maniera diversa sì. Ci sono voluti nove anni per chiudere questa storia e per provare la mia innocenza. Ora chi mi restituisce tutto ciò che ho perso? Calciopoli in una sola parola? Un paradosso! Quell’inchiesta nacque perché la Juventus e i suoi dirigenti dovevano passare per il Diavolo, però poi l’unica partita “truccata”, per la quale viene condannato un solo arbitro (De Santis, ndr), è Lecce-Parma”.
“Mi sarei quantomeno aspettato che l’Aia aspettasse la sentenza prima di sospendermi, così come fece con altri. E anche la Federcalcio: dopo avermi assolto, si è presentata come parte civile nel processo di Napoli contro di me. Mi sono potuto difendere solo grazie a mio cugino che è avvocato, nessuno avrebbe sostenuto 62 udienze a Napoli. E fu sempre lui a dirmi ‘questo processo nasce prescritto ancor prima di prendere forma’, e quindi decisi di farmi aiutare”.
“Poteri forti nel calcio? C’erano una serie di rapporti, anche sconvenienti, ma tutti ne erano al corrente. Questo perché con il sorteggio, e due designatori scelti da squadre diverse, era necessario tenere tutti i canali di comunicazione aperti, ce lo disse proprio Carraro. Ma, su 171mila telefonate analizzate, ce ne fosse stata una che mi riguardasse. È mai possibile che, vista la leggerezza con la quale parlavano di determinati argomenti, non parlavano anche del resto?”
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