Zona Cesarini. Sono più di 80 anni che la chiamiamo così. Ben 80 anni di esultanze e lacrime, urla strozzate in gola e infarti sfiorati. 80 anni da quel gol al 90’ di Renato Cesarini in Italia-Ungheria, finale della Coppa Internazionale, che decretò la vittoria degli azzurri per 3-2. Se da allora tutti i palloni potessero raccontare l’ansia di rotolare sull’erba in quei concitati secondi. Un respiro trattenuto fino a renderti paonazzo, un’agonia atroce in attesa di quei tre fischi. L’agonia che ormai ha assalito i tifosi napoletani già allo scoccare dell’87’, soprattutto nelle gare fondamentali. Un’angoscia che probabilmente è la scintilla del misfatto per gli stessi calciatori. Perchè il rewind di Torino e Roma beffa qualsiasi analisi logica e razionale. E getta improvvisamente tutti nel panico. Ma così è un gatto che si morde la coda. Ad una doccia fredda deve seguirne un’altra. Gelida. Che possa risvegliarci dal torpore delle paure. Il tempo non è ancora scaduto. Mancano tre giri di lancette. Palla al centro.
Thrilling. Uno sprint conclusivo da far tremare le ginocchia. Ma a noi piace così. Chi si aspettava di andare già in vacanza con un ricco secondo posto in tasca non ha mai amato questi colori. E magari si è gettato nell’orgia dei criticoni subito dopo il gol di Nainggolan. Subito dopo la migliore prestazione in trasferta del Napoli in uno scontro diretto. Il vero cruccio della squadra di Sarri nella seconda parte di questa stagione. Addirittura ci si è scagliati contro l’atteggiamento remissivo degli azzurri e la mancanza di coraggio, utilizzando la sfida allo Juventus Stadium come termine di paragone. Similitudini corrette per certi versi, ma sicuramente ingenerose se si imputano colpe alla condotta di gara e alla voglia di vincere. Era la Roma a desiderare disperatamente quei tre punti, eppure in campo non l’ha notato nessuno. Il peccato commesso è nella gestione della gara, nella cattiveria, nei gol falliti. Dettagli che pesano, purtroppo, e tanto.
Tre soltanto le marcature lontano dal San Paolo dalla sfida ai bianconeri ad oggi. Tutte messe a segno dal Pipita, tra l’altro una su rigore (Palermo) e un’altra gentilmente concessa da un clamoroso harakiri avversario (Firenze). In buona sostanza, il secondo pallottoliere della serie A è da mesi inceppato fuori dalle mura amiche. Timidezza di alcuni interpreti, poca incisività se non addirittura involuzione in altri. Poi, se gira bene, c’è l’unghia di Callejon in fuorigioco: un’unghia dorata se è l’unica a luccicare tra tutte quelle al vertice del campionato. In ogni caso se non si è cinici si finisce per pagare dazio. Soprattutto se non si è capaci di tirare i remi in barca con onore e al momento opportuno. Crepe caratteriali che hanno destabilizzato questo romanzo 2015/2016. Basta concentrarci sulla foga, la disorganizzazione e l’inspiegabile terrore nei movimenti dell’intero pacchetto azzurro negli attimi immediatamente precedenti le reti subite contro Juve e Roma. Un pollaio senza galli dove chiunque si intrufola e porta via le uova. Sperando che valgano come insegnamento a tutti, incluso lo stesso Sarri: anche due 0-0 possono cambiare la storia di ognuno di noi.
La storia, nel frattempo, all’ombra del Vesuvio l’ha scritta un certo Marek Hamsik. 400 gare con quella maglia addosso sono una prova d’amore che va oltre ogni mero giudizio tecnico. Un’appartenenza tatuata sul petto a dispetto delle mille voci che da anni provano a strapparlo a Partenope. Un campione di umiltà e sacrificio al servizio della squadra, oltre all’estrema utilità in entrambe le fasi. Non un leader, nè un trascinatore. Non lo è mai stato, nelle parole e nei fatti. Ma nemmeno può ergersi a capro espiatorio da sacrificare ad ogni passo falso. Tuttavia, c’è da dire che la sua opacità talvolta si ripercuote sull’umore di una squadra povera di condottieri morali. E salta alla mente il carisma di Gigi Buffon nelle dichiarazioni post-Sassuolo dalle quali è partita la remuntada della Juve. Così com’erano indispensabili Zanetti all’inter, Baresi al Milan o lo è ancora nonostante tutto il chiacchieratissimo Totti a Roma. Sulle spalle sparghe si costruiscono successi incrollabili. A noi mancano. Ma non pretendiamole sempre e solo da Marekiaro. Ci basta che lui tenga alta la fedeltà. E la cresta.
5 scudetti consecutivi per la Vecchia Signora. Quella sensazione di imbattibilità pur cambiando gli addendi che ti fa sentire inerme. Poi leggi le statistiche e trovi il Napoli accomodato sulla seconda poltrona dietro i campionissimi nel conteggio dei punti totali. I numeri ci incoronano come l’unica vera antagonista di quell’armata invincibile, con picchi altissimi di competitività raggiunti con la gestione Sarri. Questo gap a tratti irrecuperabile è in realtà meno utopistico di quanto sembra. Se solo tutti remassimo a favore del vento. Se si avesse un pizzico di buon senso e maturità in ogni tassello, a partire dalla stessa società. Magari riusciremmo a difendere ciò che abbiamo meritato. A rialzarci, col viso tumefatto dopo tanti pugni, e sfidarli ancora.
Ivan De Vita
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