È stato come se un altro finale non avesse motivo di esistere. Come se quell’attimo, quell’istante, quel meraviglioso pezzo di gioco, fosse stato posto lì da un’entità superiore. Di sicuro, da un uomo arguto, astuto, tremendamente bravo nell’organizzare colpi al cuore. Da uno bravo a carpire i momenti, a renderli magici. Ad emozionarsi ed emozionare. Che magari sapeva anche cosa volesse dire, in una piazza come Napoli, passare alla storia. Eliminando bruciori, annientando le amarezze, dissolvendo l’ultimo briciolo d’insoddisfazione.
Una rovesciata può avere il sapore del destino. E il destino può profumare di rivincita e rivalse. Perché adesso ripensare a quel rigore contro la Lazio serve a poco, rimuginare sugli errori nella finale Mondiale occorre solo per mere statistiche. C’è un’altra vita, nel calcio. C’è sempre. E c’è un’altra possibilità, un’altra occasione, un altro mondo. Tutto da scoprire, ma in parte forse già svelatosi: è lo stesso che ha colto al volo Gonzalo Higuain. Bravo ad esser lì, a farsi trovar pronto. Ma anche a costruirsela, la sua fortuna.
LA SUA PARTITA – Ti butta giù in overdose, il Pipita. Di brividi sulla pelle e di sorrisi. Perché una notte come quella appena trascorsa vorresti riviverla in loop: che non basta mai e poi mai, e poi ancora mai. Maledetti dubbi, da sempre. Anche, soprattutto ad inizio partita. Col Napoli partito contratto, tra obbligo di risultato e sana paura di chi deve ancora svezzare carattere, di chi ha ancora da saper scindere batticuore e campo. E allora c’è l’ansia, la sfortuna, lo smarcarsi a fatica tra maglie gialle poco rinunciatarie. E poi uno Zappino versione Buffon, e la Roma che va in vantaggio, e la paura di ritrovarsi a mani vuote. Un anno dopo, con un campionato – stratosferico – a tratti apparentemente e drammaticamente inutile. Ecco: che per un solo istante, il record del Pipita perde importanza. C’è il risultato, e c’è prima d’ogni singolo primato. Per quanto clamoroso, per quanto storico. Per quanto meritato.
LA SUA VITTORIA – Ci pensa il capitano, però. E ci pensa di zampata, nell’area piccola, da nueve d’altri tempi. Gonzalo? Prima se la ride, poi realizza: perché il momento è arrivato. Perché dopo soli quarantacinque minuti di ritardo, la ruota ha girato. E la pioggia, per quanto infame, può essere docile alleata della storia. Dunque, pallone sotto al braccio destro, si fa per rimetterlo al centro. È l’attimo esatto in cui tutti capiscono: il macigno della pressione si sta lentamente sciogliendo. Basta fare un paio di gol, in fondo. E dopo nove doppiette, che sarà mai? In sequenza: prima serpentina di Allan e tocco in porta sopraffino. Appena dieci giri di lancetta più tardi, altra pennellata dentro e ancora la lestezza da cannoniere puro volta a premiarlo. La pagina dei goleador del campionato italiano recita senz’appello: Gonzalo Higuain, con Nordahl, è l’attaccante ad aver segnato più di tutti in una stagione regolare.
LA SUA STORIA – Forse era davvero destino che dovesse andar così. Forse è solo un disegno più grande, qualcosa di concettualmente inarrivabile. O forse è solo l’ennesima volta in cui tutti i pezzi del puzzle s’incastrano: ad uno ad uno, senza la minima intenzione di disegnare l’immagine più bella che ci sia. Una rovesciata: il gesto tecnico perfetto. Tra pensieri, sensazioni ed un pallone alzato di petto e scaraventato alle spalle di Zappino. Probabilmente un po’ fuori, di sicuro un po’ ingenuo. Ancor più certo, vittima della sorte: romantica, amorevole, instancabile portatrice di emozioni. Col Pipita e grazie al Pipita. Sì, doveva andare così. Non c’è dubbio, non abbiamo intenzione di trovarne. E no, altra sceneggiatura era possibile. È stato tutto perfetto, pioggia compresa: perché qualcuno, dall’alto, ha voluto far sentire il proprio apprezzamento. 36, Gonzalo: che sommati, poi, fanno il tuo nove. Da questo momento, importante quasi quanto quel 10.
Cristiano Corbo