Ogni volta che Marek Hamsik segna, si rinnova il suo legame con Napoli, città e squadra. Se poi questo gol lo fa al Palermo, un habitué negli ultimi anni, allora vale doppio: otto reti, di cui cinque al Barbera. Se poi lo fa nella notte del record, fondamentale per lo slovacco, quattro mesi dopo averne eguagliato un altro, allora vale triplo.
Non ci sono più aggettivi, perché Marek Hamsik da oggi è ancora una volta storia. Ottantadue reti, più di Diego Armando Maradona, non uno qualunque, per capirci. Un cammino cominciato nel lontano duemilasette, continuato senza interruzioni. Qualche crepa, mai preoccupante veramente, c’è stata: nel 2011 le sirene del Milan, la volontà, forse nemmeno del tutto sua, di provare una nuova esperienza. Niente da fare perché il tradimento, questo almeno, non si consumò e il sodalizio col Napoli è continuato, raggiungendo altri e importanti risultati. Manca un unico tassello che si chiama tricolore ma Hamsik, ne siamo sicuri, ci sta pensando da un po’ e l’anno scorso lo ha anche accarezzato: c’è ancora un po’ di tempo.
Hamsik è stato ed è la provvidenza: l’ultima bandiera, quella che sventola sempre, col suo talento e la sua forza, con la sua classe. Quella silente, che risponde coi fatti alle accuse, spesso infondate, che soffre e che stupisce sempre, anche quando si perde e sembra l’ombra di se stesso. Quella che non si lascia colpire e schiacciare ma reagisce sempre e che oggi rappresenta un’unica certezza per il Napoli e per un gruppo che in lui vede il riferimento assoluto. A Palermo, con la partita bloccata, così come era successo quattro mesi fa col Frosinone nella notte in cui, dopo aver raggiunto Maradona, fu adombrato dall’altro record, quello del Pipita oggi bianconero, un suo lampo di genio ha suonato la carica e la riscossa del Napoli che poi, in quindici minuti, ha chiuso la pratica prima che potesse essere troppo tardi: sia chiaro, il Napoli ha dominato sotto ogni punto di vista ma, simbolicamente, la marcatura di Hamsik ha dato il via allo straripare degli azzurri. Il primo input, dunque, viene sempre da lui, dalla sua diciassette, da quella maglia indossata alla pari di una seconda pelle, da quella cresta alta e fuori dall’ordinario, da quella fascia da capitano che lo ha trasformato da slovacco, sia chiaro, per puro caso, a napoletano, per semplice scelta. Se questo non è amore, non possiamo definirlo in altro modo. Partenopeo sotto ogni aspetto, l’uomo del destino, quello che ha scelto Napoli, declinando altre piazze, perché troppo legato a quella azzurra. Il tutto sempre col sorriso, con la consapevolezza che non è mai troppo quello che ci si può dare a vicenda. Tanto ha avuto da Napoli, Marek: figlio prediletto della città, eletto all’unanimità simbolo della squadra. Tanto, infine, ha avuto Napoli da Marek: amore, rispetto, fedeltà. Non solo gol, non solo record, non solo gioie calcistiche ma anche e soprattutto umane. Ed è quello che resta, all’indomani di Palermo: l’uomo, prima del calciatore. Napoletano a Napoli, ovviamente. Pronto a chiudere una pagina, quella degli ottantadue gol, e prossimo ad aprirne un’altra. Ad maiora, sempre, Marek.
Articolo modificato 11 Set 2016 - 11:41