Esordio col brivido, ma d’autore. Vincere soffrendo, la regola nel corso di una stagione ricolmo di gare ogni tre giorni. Non sempre è possibile vincere e convincere nel pieno senso del termine. Un assioma, e serate come queste portano ad un bagaglio di autostima che cresce, vittoria dopo vittoria.
Rebrov disegna bene la gara ed i programmi di Sarri incappano in qualche incidente di percorso. Mediana meno granitica e fluida, soprattutto, nel creare scompiglio nella metà campo avversaria. Non batte ciglio, invece, Kalidou Koulibaly, certezza statuaria anche quando l’area di rigore pare mutare in sabbie mobili. Potente, rapido, smaliziato. Anticipi e ripiegamenti, con un supporto spesso necessario sull’out mancino in raddoppio sul sempre insidioso Yarmolenko. Una spina nel fianco, per un’ora buona, il numero 10 della Dinamo, patema per Ghoulam che però – salvo la leggerezza in occasione del vantaggio avversario – alla lunga emerge vincitore. E devastante sulla catena di sinistra, il cross con cui confeziona l’assist per il momentaneo pari è una primizia per precisione, effetto e potenza.
In avanti Callejon ritorna ad indossare le vesti dell’equilibratore, raddoppi continui e tantissima corsa a supporto della catena di destra. Garanzia di copertura essenziale in contesti come questi. L’esordio in Champions ha però un protagonista assoluto, Milik è il migliore in campo. Tantissimo lavoro, dialogo continuo nel breve con i compagni di reparto. Sacrificio e voglia irrefrenabile di trovare la rete. La trova, eccome, due sigilli – sono 4 i goal in stagione – entrambi di testa. Due stacchi diversi e dall’identico, magnifico, esito. Il primo da antologia, potente e preciso. Il secondo quasi da fermo disegnando una parabola praticamente perfetta. Il goal come particella insita nel suo modo d’essere, di vivere il rettangolo verde che si propaga. Il ragazzone di Tychy si è ormai preso il Napoli, per non lasciarlo. E chi ben comincia…
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 14 Set 2016 - 01:00